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Antropologia e promozione della salute: un connubio interessante e promettente
 I due concetti che mettono in relazione l’antropologia culturale e la promozione della salute sono salute e rischio.
“Salute” è un concetto che l’antropologia medica (una specializzazione delle scienze antropologiche che studia i diversi sistemi medici e i percorsi di cura) da anni ha messo sotto la lente di ingrandimento per provare a comprendere cosa potesse significare sotto un profilo culturale.
Giovanni Pizza definisce il binomio salute/malattia “la doppia menzogna” (2005, p. 76) poiché esse paiono, nella definizione comune, come opposte e comprese in un processo di reificazione che le pone come stati o condizioni oggettive e incomunicabili.
Nella fenomenologia umana però lo stato di benessere non esclude la malattia e viceversa, anzi, a seconda dei soggetti, troveremo diverse risposte al significato di “star bene” .
Gadamer (1994), nel suo famoso testo Dove si nasconde la salute, asserisce che la salute nella nostra società assume un carattere di segretezza poiché non si manifesta fino a che non compare la malattia, la salute non esiste se non nella sua assenza, dalla malattia impariamo cos’è la salute.
Sappiamo bene che è impossibile vivere senza avere problemi fisici di qualche genere, ma questo vuol dire non essere in salute? E allora, cos’è la salute?
Sembrano convivere (e a volte entrare in conflitto) due idee di salute: da una parte una salute oggettiva e normativa, che è quella degli esperti e dei decisori pubblici, dove star bene assume significati ascrivibili a parametri precisi e oggettivi che ci rimandano a comportamenti umani definibili come “salutari” (vedasi tutto il discorso sull’Health Literacy), e una salute soggettiva che si rifà all’esperienza di vita di ognuno di noi, mai definibile una volta per tutte, tant'è che star bene a vent'anni non è la stessa cosa che star bene a settanta o star bene in un contesto non è la stessa che star bene in un altro.
L’estrema soggettività dello stato di benessere complica e rende la salute un concetto problematico e difficilmente gestibile se non in termini di complessità.
Cosa vuol dire allora promuovere salute?
E qui giunge il concetto di rischio, che generalmente si riferisce all'eventualità di subire o provocare un danno connessa a circostanze più o meno prevedibili.
Il rischio si valuta, in rapporto agli esiti possibili e/o probabili legati alla presenza dei singoli pericoli o di una sequenza di pericoli tra loro correlati alle diverse possibilità di azione. Il rischio è una probabilità che può avere un esito positivo o negativo in rapporto al pericolo che si affronta, che si percepisce, che è presente nel nostro agire dentro al mondo, che è lì come elemento fisico, meccanico, ambientale, normativo.
Gli esiti si possono riferire alla vita umana, alla salute, alla proprietà o all’ambiente.
Nel 1982 l’ antropologa sociale M. Douglas e lo scienziato politico Wildavsky pubblicarono Rischio e cultura, sostenendo che il rischio è creato all'interno di una cultura. I significati dei rischi, le loro qualità ontologiche, le loro implicazioni morali sono il frutto di una costruzione sociale e culturale che avviene attraverso la condivisione di rappresentazioni collettive.
Douglas e Wildavsky provarono a spiegare perché l'accettabilità sociale dei rischi non è collegata necessariamente alla razionalità statistica bensì ad un processo sociale.
Il rischio quindi è dato dalla percezione sociale che un dato evento costituisca un pericolo e dalla percezione sociale delle probabilità che quel dato evento pericoloso si verifichi davvero.
Oggi sempre di più si parla di rischio situato, ossia di fenomeni interpretativi che si modificano nelle spazio e nel tempo e che determinano l’ingresso in un dato spazio sociale di un dato fenomeno rischioso. Il rischio inoltre porta con sé, da una parte, elementi di controllo sociale e, dall’altra, fenomeni di biosocialità e agency (Caplan, 2000).
I significati legati alla salute, al rischio e alla sua accettabilità sociale si modificano costantemente e questo comporta uno sforzo di analisi costante per coloro i quali devono decidere le strategie di promozione della salute.
La domanda cruciale a cui l’antropologia cerca di rispondere, analizzando i diversi contesti e situazioni, è: quale salute è minacciata da quali rischi? Quali significati, poteri, rappresentazioni e pratiche si muovano intorno a questi concetti? La cosa importante è non dare per scontato che ciò che pare oggettivo e razionale (il sapere degli esperti) lo sia per tutti in tutti i contesti. D’altra parte la teoria dei determinanti della salute e delle diseguaglianze ci dice che molti sono i fattori da prendere in considerazione quando parliamo di benessere e che non è possibile semplificare questioni complesse legate alla vita e allo star bene delle persone. Quindi, anche gli operatori della salute devono tener conto di questa complessità e interrogarsi costantemente sui significati sottesi alla pratiche messe in atto.
Bibliografia
Caplan P., (2000), Risk rivisited, London, Pluto Press
Douglas M., Wildavsky A., (1982), Risk and culture, Berkeley, University of California Press
Gadamer H. G., (1994), Dove si nasconde la salute, Milano, Raffaello Cortina Editore
Pizza G.,(2005), Antropologia medica, saperi, pratiche e politiche del corpo, Roma, Carocci.
Muoversi per apprendere col Nordic Walking
 La sedentarietà è il quarto principale fattore di rischio di mortalità globale, provocando ogni anno 3,2 milioni di decessi (OMS). Uno stile di vita attivo rappresenta è importante per mantenersi in buona salute.
OKkio alla Salute (un sistema di sorveglianza sul sovrappeso e l’obesità e i fattori di rischio correlati nei bambini delle scuole primarie, 6-10 anni) rivela che in Trentino solo il 27% dei bambini pratica l’ora di attività fisica raccomandata per almeno 5 giorni alla settimana. Non sono pochi quindi i bambini che potrebbero mantenersi più attivi sfruttando ogni occasione lungo la giornata per utilizzare il proprio corpo nei diversi contesti di vita guadagnandone in salute.
L’attività di Nordic Walking (NW) o camminata nordica con i bastoncini, rappresenta un semplice ed efficace metodo per promuovere il movimento, anche a scuola. Il NW in età infantile favorisce agilità, coordinazione, corretta postura e riduce il rischio di obesità. Educa anche ad un buon controllo emotivo, migliora l'autostima, aumenta le capacità di socializzazione e autonomia, favorisce l’osservazione del proprio territorio creando occasioni per sviluppare il senso di appartenenza come anche stabilito dai Piani di studio provinciali.
L’U.O. Igiene e Sanità Pubblica Centro Sud, ambito Vallagarina, in collaborazione con l’insegnante Emanuela Antonelli (Istituto Comprensivo di Brentonico) e con Valentina Lanz, maestra della Scuola Italiana di Nordic Walking, ha promosso il progetto “Muoversi per apprendere col Nordic Walking”.
I destinatari del progetto sono gli insegnanti ai quali vengono fornite indicazioni su tecnica e benefici del NW per consentire loro di inserire tale attività nel curriculum scolastico con lo scopo di promuovere il movimento a scuola attraverso lo sviluppo delle competenze chiave di apprendimento europee (una combinazione di conoscenze, abilità e attitudini appropriate al contesto e necessarie per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione. Raccomandazione 2006/962/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 18/12/2006). Negli ultimi 2 anni sono stati coinvolti 4 istituti e formati 90 insegnanti con ricaduta su 20 classi.
La formazione di 8 ore per gli insegnanti prevede una parte pratica (uscite con i bastoncini) gestita dalla Scuola Italiana Nordic Walking al fine di sperimentare i benefici sulla salute, la simulazione del gesto tecnico e della progressione, le competenze coinvolte, lo Zoo Nordic (movimenti appresi attraverso la simulazione dei movimenti degli animali); una parte teorica condotta da un insegnante della scuola primaria e dal referente alla salute dell’APSS con lo scopo di fornire indicazioni per l’inserimento del NW nel curriculum scolastico.
Gli insegnanti, una volta formati, realizzeranno nelle classi sia le uscite, accompagnando gli alunni assieme al maestro della Scuola Italiana di NW, sia le attività in aula collegandole alle diverse discipline (es. geo-storiche, umanistiche, motorie, lingue straniere). Nelle classi del primo biennio, ad esempio, sono attivati percorsi legati allo sviluppo di consapevolezza e coordinazione corporea collegati alla lingua straniera.
Per ogni classe sono previste 5 uscite di un’ora con i bastoncini allo scopo di coordinare e collegare in modo fluido il maggior numero di movimenti naturali; utilizzare le abilità motorie in forma singola o in gruppo; apprezzare le traiettorie, le distanze, e i ritmi esecutivi delle azioni motorie; il tutto applicando il rispetto delle regole e del gruppo, sviluppando conoscenza del territorio, assumendo atteggiamenti di disponibilità e svolgendo un ruolo attivo e significativo nelle attività gioco-sport.
La valutazione del progetto avviene attraverso la raccolta dei dati di processo e di soddisfazione mentre per i risultati di salute si valuta l’aumento delle ore di attività fisica a scuola e le attività realizzate per promuovere il movimento attraverso degli indicatori da inserire nella rubrica valutativa dello studente che riguardano: lo sviluppo di conoscenze e abilità, le competenze in area motoria individuate dai Piani di studio provinciali, la consapevolezza e coordinazione, la partecipazione e socializzazione, il senso di responsabilità. L’obiettivo per i prossimi anni è quello di estendere il progetto ad altre scuole nell’ottica di una scuola che promuove salute in rete con la comunità e il territorio, per rendere più facili e accessibili le scelte salutari da parte dei cittadini nelle diverse fasi della vita. Buona camminata a tutti!
Cinzia Vivori – Socia SIPS, Delegazione Trentino-Alto-Adige
L'articolo è stato scritto in collaborazione con Emanuela Antonelli e Valentina Lanz, socie SIPS, Delegazione Trentino-Alto-Adige.
Benessere organizzativo come strumento di prevenzione del disagio lavorativo in ambito scolastico
 È opinione diffusa che l’insegnamento sia una sorta di “non lavoro”, trattandosi di un impegno limitato a un numero ristretto di ore e di giorni, più adatto alle donne che non agli uomini, anche in virtù della sua modesta retribuzione. E invece insegnare stanca e diventa sempre più spesso un impegno sfiancante sia fisicamente sia psicologicamente.
Pare, però, che né la società né tantomeno chi ricopre responsabilità politiche e culturali di respiro nazionale riescano a rendersene conto. L’aspetto paradossale è che, nonostante la professione docente sia considerata spesso privilegiata, in realtà contribuisce sempre più a far insorgere negli insegnanti vere e proprie patologie in misura significativamente superiore ad altre categorie. Per la stragrande maggioranza dei docenti, insegnare costituisce un impegno psicofisico molto serio, anche quando non diventa un confronto logorante con allievi difficili o classi ingovernabili. In un mondo in cui la scuola, oltre a non garantire come un tempo un futuro lavorativo, non è più la fonte esclusiva della conoscenza, in un mondo in cui l’attrattiva e il prestigio delle immagini e della realtà virtuale rendono più difficile l’ascolto puro e semplice della parola, tenere desta l’attenzione degli allievi diventa un compito molto arduo.
L’abitudine di colpevolizzare i docenti per i mali del sistema scolastico, è in gran parte da addebitare a tutti coloro (politici, sindacalisti, opinionisti, pedagogisti) che hanno preteso che la scuola diventasse completamente subalterna a presunti “diritti” dell’utenza; beninteso non di quelli sacrosanti che sono alla base di un sistema scolastico democratico ed efficace, ma quelli compendiabili nel motto: “Il cliente ha sempre ragione”. Ma i diritti hanno senso solo se declinati insieme ai corrispondenti doveri, doveri di cui poco si parla! Il binomio diritti/doveri è irrinunciabile in un percorso educativo che si ispira ai principi della democrazia, altrimenti vi è il rischio, se non la certezza, di fallire nella trasmissione alle future generazioni del rispetto della legalità, delle regole e della stessa democrazia. La deriva populista della nostra scuola ha trovato la propria palestra in certa politica scolastica che già da qualche decennio ha destrutturato la qualità del sistema scolastico, facendo credere che la scuola di massa equivalesse alla soddisfazione delle pretese e delle aspettative dell’utenza, termine indegno della nostra tradizione scolastica. Il processo di destrutturazione della scuola, dei docenti e anche del ruolo genitoriale si fonda sulla contestazione dell’autoritarismo, inteso semplicisticamente come imposizione di limiti e di regole, di cui, invece, è fatto l’indispensabile, graduale percorso di accettazione del principio di realtà. Questo protrarsi di un’acritica deriva antiautoritaria ha finito per indebolire gravemente la capacità degli educatori di guidare e sostenere la crescita dei ragazzi.
La sempre crescente sofferenza degli insegnanti, costretti a lavorare in una scuola fortemente deistituzionalizzata, ha spinto alcuni studiosi a occuparsi seriamente delle patologie legate al lavoro docente. I dati rilevati mediante specifiche ricerche hanno evidenziato che negli ultimi vent’anni le diagnosi psichiatriche, nella scuola, sono notevolmente aumentate e una crescita progressiva si è avuta anche nelle neoplasie di carattere prettamente femminile; e sempre più femminile sta diventando il nostro corpo docente. Attualmente le donne ne rappresentano oltre l’80%, con un’età media di oltre 50 anni, età che, in linea di massima, coincide con il periodo perimenopausale e per questo fortemente soggetto alla depressione. Anche l’aumento dell’età pensionabile influisce in modo considerevole sulle patologie correlate al lavoro.
Fintanto che l’insegnante verrà considerato un privilegiato, i problemi derivanti dall’esercizio della sua professione non saranno mai affrontati seriamente. Anche gli interventi di prevenzione, previsti dall’accertamento di stress da lavoro correlato e resi obbligatori dalla recente normativa, rischiano di diventare una mera formalità se su questi aspetti, sia le scuole che le organizzazioni professionali e sindacali, non si preoccuperanno di procedere ad un capillare monitoraggio di ciascuna scuola, individuando tutte quelle criticità che finiscono col determinare la buona o la cattiva salute del personale scolastico, in particolare di quello docente.
Ma torniamo alla quotidianità del lavoro dell’insegnante, alla fatica quotidiana che diventa insormontabile quando è accompagnata da paura, sconforto, debolezza; dalla certezza di “essere battuti”, una volta entrati in classe, da ragazzi difficili o spietati, i cui comportamenti sono talvolta disarmanti, quando non rasentano la pericolosità. E in questa confusione destinata a ripetersi giorno dopo giorno si cancellano anni di studio, di attese, di progetti, mentre nella solitudine e nello sconforto si finisce per vivere tutte le difficoltà della situazione esclusivamente come personale fallimento. Purtroppo, il sistema italiano di reclutamento del personale docente ha permesso che entrassero nella scuola anche insegnanti del tutto inidonei psicologicamente al loro compito, ma è anche vero che spesso non sono solo i docenti del tutto inadeguati al loro ruolo ad uscire distrutti dalle classi; quasi sempre la fatica finisce col distruggere anche gli insegnanti appassionati, competenti e generosi.
Solitamente, ad aggravare la condizione dei docenti vi è il loro totale isolamento, molto spesso voluto dai diretti interessati perché convinti che il non riuscire a gestire la classe o a organizzare una didattica degna di questo nome sia una propria colpa: né si può dire che gli altri docenti e gli stessi dirigenti intervengano a favore dell’insegnante per evitare che viva in completa solitudine questa sua terribile personale mortificazione. Invece, una delle risposte migliori per rendere meno faticoso il lavoro dei docenti è la “socializzazione” dei problemi presenti nella scuola e la condivisione di strategie risolutive. In ciascuna scuola dovrebbero essere designate delle figure di riferimento, magari individuate tra i docenti più esperti, per coloro che hanno minore esperienza e per coloro che necessitano di supporti di carattere metodologico e psicologico. Sarebbe opportuno che ogni scuola organizzasse un sistematico lavoro in cui, attraverso il confronto delle diverse esperienze, e magari anche con il supporto di esperti esterni, si affrontassero le difficoltà legate all’insegnamento, partendo proprio dai casi concreti interni all’istituto, e si elaborassero progetti ad hoc per sostenere gli insegnanti e aiutare gli alunni a superare situazioni di conflittualità e disagio. L’ideale sarebbe che i successi, come anche, e forse più, i problemi e le sofferenze degli insegnanti appartenessero all’intera comunità scolastica onde evitare che il malessere dovuto alle difficoltà del lavoro minacci il valore e l’attendibilità della scuola, intesa, secondo la migliore tradizione pedagogica, come istituzione che trasmette cultura e forma coscienze.
Caterina Adurno – Socia SIPS, Delegazione Basilicata
Documentazione e promozione della salute
Antropologia e salute
Chi è l'uomo? Qual è il posto dell'uomo nell'universo? Qual è il posto dell'uomo sulla Terra? Quale significato ha la salute umana? Come difendersi dalle malattie? Come accogliere gli sviluppi del sapere scientifico e della tecnologia?
L'uomo ha la capacità di sperimentare se stesso come centro della propria attività, del proprio vivere, della propria esistenza. È opportuno, perciò, che ognuno impari a considerare questi interrogativi come essenziali per la propria educazione e saper cogliere così il valore del proprio modo di vivere ed elaborare una conseguente concezione dell'esistenza in cui l'avere, il possesso delle cose, delle tecniche, delle conoscenze, l'uso dei mass media, lo stesso ricorso ai mezzi di produzione, non possa mai essere confuso con il dono della vita e con l'esistenza del singolo uomo.
E' questa prospettiva, infatti, che permette ad ogni persona di aprirsi a uno spazio profondo di riflessione e di orientamento esistenziale. Ognuno avverte la propria incertezza e si misura quotidianamente con la propria precarietà. Chi non ha mai sperimentato di muoversi e vagare spesso tra idee, opzioni, desideri opposti e contraddittori? Chi non ha ruotato attorno a valori senza riuscire a prendere chiaramente e definitivamente una decisione a vantaggio di uno di essi, a schierarsi consapevolmente e responsabilmente per una posizione?
Oggi non solo la medicina e la biotecnologia, ma anche l'opinione pubblica affrontano temi e problemi sociali e sanitari (terapia genica, tecniche di riproduzione artificiale, diagnostica del preimpianto, cellule staminali embrionali, analisi del genoma, clonazione, brevettabilità dei geni, dispersione di microorganismi nell'ambiente, aborto, sperimentazione di nuovi farmaci sull'uomo, trapianti, eutanasia, accanimento terapeutico) che richiedono anzitutto un percorso formativo antropologico per poter orientare il comportamento umano verso riferimenti etici e giuridici.
Nelle divergenze e nei conflitti tra possibilità e impossibilità tale percorso talvolta può apparire come una sorta di terra di nessuno e divenire talmente ampio da sembrare un'area neutrale, dove è possibile rifugiarsi e sfuggire al confronto, allo scambio, alla discussione, al dialogo.
L'indifferenza, tuttavia, non giova alla vita dell'uomo, né è salutare. Il tempo contemporaneo resta a corto di fiato se non sollecita la riflessione dell'uomo sull'uomo.
Bibliografia.
De Angeli A., Simonelli F., Rinascimento e promozione della salute – Renaissance and Health Promotion, Tipolito Pochini, Firenze, 2003;
Simonelli F., De Angeli A., Le radici rinascimentali della promozione della salute del bambino – Renaissance Roots of Children's Health Promotion, Firenze (s.d.)
Taylor C., L'età secolare, Feltrinelli, Milano, 2007;
D'Agostino F., Palazzani L., Bioetica, nozioni fondamentali, La Scuola, Brescia, 2013;
Joas H., La sacralità della persona – Una nuova genealogia dei diritti umani, Franco Angeli, Milano, 2014;
di Antonio De Angeli. Socio fondatore SIPS
Evidenziamoli
Abstract presentati che meritano maggiore attenzione
Il ruolo degli insegnanti nella promozione della salute: l'esperienza del progetto lifeskills training Lombardia
Francesca Mercuri, Veronica Velasco, Mariella Antichi, Elena Paganini, Corrado Celata
Osservatorio Regionale sulle Dipendenze - Eupolis Lombardia
lstlombardia@eupolislombardia.it
Il ruolo degli insegnanti si rivela cruciale per favorire l’integrazione della promozione della salute degli studenti all’interno dei normali processi educativi, relazionali e sociali del mondo della scuola. La valutazione del progetto LST Lombardia ha mostrato come la partecipazione al progetto abbia favorito negli insegnanti maggior consapevolezza del loro ruolo e la percezione di maggior competenza nella promozione della salute dei loro studenti.
Il progetto LST Lombardia, che rientra nell’ambito dell’Accordo di collaborazione per lo sviluppo di attività di promozione salute tra Regione Lombardia e Ufficio Scolastico Regionale, ha promosso la sperimentazione del LifeSkills Training program (LST) a livello territoriale nelle scuole secondarie di primo grado. Il LST è un programma scientificamente validato di prevenzione all’uso e abuso di sostanze che utilizza una strategia educativo-promozionale all’interno di un modello più generale di incremento delle abilità personali e sociali legate alla promozione della salute. Ciascun insegnante coinvolto ha avuto il compito di realizzare le attività previste nel programma con i propri studenti, per far questo ha partecipato ogni anno ad una formazione ed è stato accompagnato nella realizzazione del programma dagli operatori ASL. Il progetto si è svolto a partire dall’anno scolastico 2011-2012 per i successivi tre anni scolastici, sono state coinvolte ad oggi più di 150 scuole e oltre 2000 insegnanti che, a loro volta, hanno lavorato con circa 25000 studenti.
Il progetto ha previsto un piano di valutazione longitudinale che ha coinvolto, oltre agli studenti, anche gli insegnanti. La valutazione degli insegnanti ha previsto la somministrazione di un questionario in quattro tempi: la prima precedente della prima formazione e poi ogni anno scolastico al termine delle attività in classe. Attraverso il questionario self report sono state indagate le rappresentazioni di salute degli insegnanti, la percezione del loro ruolo professionale ed educativo, l’autoefficacia percepita nel gestire gli studenti e le modalità di realizzazione del programma. Il campione utilizzato per le analisi è composto esclusivamente dagli insegnanti che hanno partecipato alla prima ed all’ultima rilevazione. Le risposte dei singoli soggetti sono state appaiate e per le analisi dei dati è stato utilizzato il modello lineare generalizzato a misure ripetute (GLM).
Dall’analisi dei dati pare che, dopo la partecipazione al progetto, gli insegnanti attribuiscano maggior importanza sia ai loro compiti didattici sia a quelli educativi, si sentano più efficaci nella gestione degli studenti nella loro attività individuale e sentano di poter affrontare le difficoltà del proprio lavoro collettivamente come membri del corpo docente della scuola in cui lavorano. Riguardo alla promozione della salute si rileva un incremento nell’efficacia percepita nella promozione della salute degli studenti, in particolare attraverso attività che prevedano un confronto con gli studenti stessi su temi di salute. La percezione di efficacia della loro azione aumenta in particolare rispetto ai temi della prevenzione dell’uso di sostanze.
Dai risultati emersi si può affermare, quindi, che la formazione e l’attività di accompagnamento agli insegnanti e la possibilità di sperimentarsi con i loro studenti nella realizzazione di un programma di prevenzione validato all'interno del progetto LST Lombardia siano riusciti a sollecitare alcuni cambiamenti nelle rappresentazioni degli insegnanti riguardo al loro ruolo nella promozione della salute degli studenti e di essere più consapevoli delle loro potenzialità in quest'ambito.
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#rischioErealtà
Promuovere la salute nella comunità virtuale e territoriale
L’evento, che nasce da una stretta collaborazione tra il Dipartimento di Prevenzione, i Servizi per le Dipendenze, la Medicina Preventiva della ASL RM C e le realtà scolastiche e sociali presenti nel territorio, vuole rafforzare l’impegno comune nell’operare su temi quali la promozione della salute e l’intercettazione dei rischi comportamentali negli adolescenti.
Insieme si cercherà di comprendere la dimensione epidemiologica, sociale e psicopatologica del fenomeno e saranno presentati gli strumenti d'intervento ritenuti attualmente più efficaci per la prevenzione delle dipendenze comportamentali e da sostanze al fine di migliorare gli stili di vita degli adolescenti.
L’iniziativa raggiunge una delle azioni progettuali prevista dal Progetto CCM 2011 “Social Net Skills - Promozione del benessere nei contesti scolastici, del divertimento notturno e sui social network, tramite percorsi di intervento sul web e sul territorio” al quale la Regione Lazio ha aderito.
Organizzato da
ASL RM C
Si ringrazia per la collaborazione l'Istituto Professionale di Stato per l’Enogastronomia e l’Ospitalità Alberghiera “Tor Carbone” di Roma
Con il patrocinio della Società Italiana per la Promozione della Salute
Iscrizioni
L'evento è gratuito e si rivolge a tutti gli operatori della sanità, della scuola, alle istituzioni territoriali ed al sociale.
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Per la partecipazione compilare ed inviare la scheda di iscrizione allegata a: darelli.gianna@aslrmc.it entro il 18 febbraio 2015
Non sono previsti crediti ECM
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