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Numero 55 marzo 2017

 
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Gruppi di parola per figli di genitori separati

Nel mio lavoro incontro spesso coppie che hanno appena preso la decisione di separarsi, oppure sono già separate da un po' di tempo. Non è mai facile quando un matrimonio, o altre relazioni significative finiscono. Dopo una perdita importante, le persone si ritrovano a provare emozioni come la rabbia, il risentimento, la tristezza, la paura, la confusione. Tali emozioni, sebbene possano essere molto travolgenti, sono reazioni normali in seguito ad una perdita e rientrano a far parte del processo di elaborazione di un lutto. 
E cosa succede ai bambini, figli di queste coppie?
Una separazione è qualcosa che riguarda l’intero sistema familiare, non riguarda soltanto un “io” ed un “tu”, ma un “noi” che investe ogni singolo componente e lo stesso significato di famiglia inevitabilmente assumerà un’altra geografia.  Ciascun bambino ha un proprio modo di reagire, diverso a seconda dell'età e della sua storia con i genitori, ma sicuramente per nessuno è facile comprendere cosa sta succedendo, cosa succede ora e cosa succederà domani. 
Numerosi studi condotti appunto sull’impatto della separazione dei genitori su bambini e adolescenti hanno dimostrato che i bambini sono spesso preoccupati perché hanno paura di perdere l’affetto dei genitori. Le vicende dei “grandi” non appaiono chiare ai loro occhi e spesso sostituiscono le informazioni reali, con delle fantasie che spesso prendono la forma emotiva del senso di colpa e si sentono responsabili del conflitto. Spesso si sentono soli, si vergognano e non sanno come e soprattutto con chi esprimere il proprio disagio.
Il Gruppo di Parola per figli di genitori separati rappresenta un’esperienza in cui i bambini o gli adolescenti possono dar voce ai propri desideri, alle proprie ansie, alle proprie paure e reperire, con l’aiuto di un gruppo di pari e con la guida di due conduttori, strategie possibili per gestire le relazioni all’interno del proprio sistema familiare in cambiamento; abbatte il muro dell’isolamento, favorendo un contatto con altri bambini che vivono la separazione dei loro genitori.
I Gruppi di Parola nascono in Canada ad opera di Lorraine Fillon, mediatrice familiare presso il tribunale civile di Montreal che ha inteso creare uno spazio ed un tempo dedicato a dare parola ai figli di quei genitori che si rivolgevano al tribunale per una separazione coniugale. Lo sviluppo e la diffusione di tali gruppi è poi continuato in Francia grazie al lavoro di Marie Simon, ricercatrice ed esperta di Gruppi di Parola per figli di genitori separati, per poi arrivare in Italia all’Università Cattolica di Milano che ha istituito dei corsi di formazione per conduttori di tali gruppi rivolti a professionisti psicosociali operanti nell’ambito delle dinamiche familiari. 
L’equipe multidisciplinare del Consultorio Familiare Stabiese, da tempo impegnata nel supporto e nel sostegno alla famiglia si è trovata, negli ultimi anni, ad accogliere un numero sempre crescente di separazioni, spesso estremamente conflittuali, ritenendo pertanto necessario dotarsi di una formazione ancora più specializzata e mirata a supporto dei figli che vivono il doloroso evento relativo ai propri genitori.
Vediamo nel concreto di cosa si tratta.
I gruppi, normalmente composti da 8/10 partecipanti, prevedono quattro incontri a cadenza settimanale, sempre lo stesso giorno, di due ore ciascuno, intervallate dal momento della merenda. Il quarto incontro è diviso in due momenti: la prima ora con i bambini e la seconda anche con i genitori per uno scambio tra genitori e figli.
Partecipare al gruppo non consente di modificare magicamente la situazione, ma offre un'occasione per entrare in contatto con i propri sentimenti, nominare le difficoltà e dotarsi di una "cassetta degli attrezzi" per trovare soluzioni e riaprire la comunicazione tra genitori e figli, attraverso un'esperienza che, in una società frammentata, fa sentire meno soli.

Anna Balzano - Socia SIPS, Delegazione Campania
 

La pace è davvero un prerequisito del benessere?

Nella Carta di Ottawa (WHO, 1986) fu sostenuto che «le condizioni e le risorse fondamentali per la salute sono la pace, l’istruzione, il cibo, un reddito, un ecosistema stabile e le risorse sostenibili. Il miglioramento dei livelli di salute deve essere saldamente basato su questi prerequisiti fondamentali». Nel 1948, con l'istituzione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, la salute è stata definita come lo stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non solo come assenza di malattia (WHO, 1946). Prima di questa data abbiamo sempre accettato questa affermazione come dogmatica e proprio per questo, nel corso dell’ultimo incontro del Gruppo Nazionale Giovani per lo Studio del Benessere Soggettivo, il Gruppo ha deciso di studiare un articolo di revisione di letteratura narrativa  di Bruno S. Frey (2011). L’autore, provocatoriamente, si pone la domanda se la felicità possa essere presente in uno stato estremo come la guerra, in particolare attraverso tre affermazioni, e cioè “la guerra porta felicità”, “le persone si adattano alla guerra” e “la felicità dei morti è irrilevante”.
Secondo Frey l’esperienza di guerra può essere energizzante e coinvolgente per qualcuno, e per la sopravvivenza sentimenti come la solidarietà, la fiducia e l’amicizia, da sempre associati a benessere, sono fondamentali, motivo per cui a volte le guerre sono supportate anche dalla popolazione. Un chiaro esempio è rappresentato dal cosiddetto “combat flow” dei soldati coinvolti in guerra, i quali sono addestrati a combattere e a uccidere e in questo modo si sentono utili ed efficienti determinando così una situazione di benessere. Ovviamente secondo l’autore il benessere determinato dal gruppo relativamente piccolo di soldati felici non può essere comparato con l’infelicità determinata dal più grande numero di effetti negativi determinati dalla guerra sulla popolazione.
La seconda affermazione recita “Ie persone si adattano alla guerra”. Le situazioni di stress sono solitamente affrontate utilizzando la resilienza e strategie di coping e, esattamente come oggi siamo bombardati da notizie di incidenti stradali e ci siamo abituati a tale genere di cronaca, secondo l’autore anche la guerra determina un adattamento nel senso che nessuno viene risparmiato «perché le persone colpite sono consapevoli del fatto che essi non fanno eccezione, e che altre persone hanno dovuto fare i conti con un dolore simile». Tuttavia la questione sull’adeguamento in guerra rimane aperta poiché tutto dipende dalla capacità di adattamento alla negatività prolungata di ciascuno.
In terza istanza Frey assume che “la felicità dei morti è irrilevante” e si pone la domanda di come dovremmo trattare i morti in guerra che non sono più una parte viva della società. A tal proposito l’autore propone tre soluzioni.
In prima analisi suggerisce di trascurare il benessere dei morti supponendo che abbiano lo stesso livello medio di felicità di quando erano in vita. In questo caso, secondo Frey, dovremmo prendere in considerazione anche la felicità non acquisita dai bambini non nati determinata dalla felicità media delle persone in vita, ottenendo per essi una sovrastima della felicità di vita e facendo sembrare così la guerra meno orribile.
In seconda analisi propone di assumere che la felicità dei morti sia pari a zero e risulta essere ragionevole laddove il benessere di un paese si misuri moltiplicando la felicità soggettiva media auto-riferita per la lunghezza media della vita.
La terza soluzione, infine, suggerisce di calcolare la felicità dei morti come se fossero ancora in vita prendendo in considerazione anche elementi socio-culturali come l’istruzione, l’età, la salute e la durata media della vita e associandole poi a coloro che sono morti in guerra. Si tratta però di una procedura che può portare a errori di stima, come per esempio nel caso del “combat flow”, in cui i soldati che muoiono avrebbero potuto essere ottimisti e idealisti, ma poiché queste caratteristiche sono positivamente correlate a felicità un approccio empirico standard dovrebbe sottovalutare sistematicamente la felicità futura dei soldati uccisi.
In conclusione sebbene l’articolo lasci molte domande aperte alla discussione evidenzia anche come la guerra e la pace abbiano molti effetti diretti e indiretti sulla felicità delle persone, difficili da catturare.
Le tre affermazioni fatte da Frey lasciano il dubbio e invitano il lettore alla riflessione; l’autore stesso cerca di discuterle e dare delle soluzioni ma ha chiarito che ogni proposta fatta porta a gravi svantaggi e quindi la questione su come la guerra possa determinare felicità rimane aperta.
La pace è davvero un prerequisito del benessere, come sostenuto dalla WHO nel 1986? Secondo il Gruppo la pace è un determinante del benessere, ma non un prerequisito.
Il Gruppo ha ritenuto così interessante invitare i Soci SIPS a riflettere su questo argomento finora poco studiato e a primo impatto provocatorio.
 
Bibliografia
Frey, B. S. (2011). Peace, war, and happiness: Bruder Klaus as wellbeing facilitator. International Journal of Wellbeing, 1 (2), 226-234.
WHO. Preamble to the Constitution of WHO as adopted by the International Health Conference, New York, 19 June - 22 July 1946; signed on 22 July 1946 by the representatives of 61 States (Official Records of WHO, no. 2, p. 100) and entered into force on 7 April 1948. The definition has not been amended since 1948.
WHO. Ottawa Charter on Health Promotion. Copenhagen, Denmark: WHO Regional Office for Europe; 1986.

Giulia Guidi - Socia Gruppo giovani SIPS per lo studio sul benessere soggettivo

La promozione della salute nella comunità

«La promozione della salute agisce attraverso una concreta ed efficace azione della comunità nel definire le priorità, assumere le decisioni, pianificare e realizzare le strategie che consentano di raggiungere un migliore livello di salute. Al cuore di tutto ciò vi è il processo che attribuisce un maggior potere alle comunità, vi è il possesso e il controllo da parte delle comunità stesse dei loro sforzi e dei loro destini». Nel 1986 la carta di Ottawa indicava chiaramente che le comunità, per guadagnare salute, devono guadagnare il potere di modificarne i determinanti. Promuovere salute nelle comunità, pertanto, implica il generare la coscienza collettiva dei fattori che determinano le disuguaglianze di salute che affliggono e attraversano la comunità, delle capacità che le persone hanno di farvi fronte attraverso l’azione comunitaria. Promuovere salute nelle comunità, infine, richiede aiutare le persone a guadagnare le condizioni necessarie affinché la coscienza collettiva possa trasformarsi in azione.
Tutto ciò richiede interventi molto diversi da quelli che la sanità pubblica ha sviluppato nell’arco della propria storia. Richiede uno sforzo iniziale enorme, sul piano culturale ancor prima che tecnico e organizzativo, che investe sia gli operatori sanitari e sociali, che le comunità stesse, anch’esse ancorate ad un paradigma secondo il quale il potere in tema di salute e organizzazione dei servizi è delegato all’autorità sanitaria e ai servizi sociali, i quali dispongono delle migliori conoscenze, delle risorse economiche e organizzative indispensabili a farvi fronte. Questo paradigma è alla base degli interventi pensati “dall’alto per il basso”, che vedono i cittadini come destinatari di azioni, progettate da tecnici esperti, utili a migliorare la loro salute. Si tratta di una tipologia di intervento che è stata ed è efficace nel migliorare le condizioni di salute quando si tratta soprattutto di limitare gli effetti dell’interazione tra un patogeno ben definito e l’individuo, ma fallisce nel governare sistemi multifattoriali complessi, come quelli che hanno a che fare con il benessere delle persone e con la prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili attraverso i sani stili di vita. Per questo, 30 anni or sono, la Carta di Ottawa ha raccomandato di intervenire attraverso processi che promuovano l’assunzione, da parte dei cittadini, del potere di individuare i problemi prioritari e agire collettivamente per affrontarli. Appare evidente che è impossibile rendere una comunità capace di esercitare un maggior controllo sui determinanti della propria salute se la si considera un soggetto passivo, “destinatario” di un intervento. Per dare attuazione alla Carta di Ottawa occorre che i servizi sanitari e sociali impieghino le proprie capacità e strutture (in definitiva, il proprio “potere”) per incrementare quello delle comunità, promuovendo processi la cui catena decisionale si articola “dal basso verso l’alto”. Ciò richiede la padronanza di una varietà di basi culturali ed etiche, approcci epistemologici, competenze e tecniche provenienti dall’ambito sanitario, psicologico, socio-economico e delle scienze umane, che è ottenibile solo attraverso un fitto dialogo tra figure professionali di diversa estrazione.
Queste difficoltà fanno sì che , a 30 anni di distanza appare ancora largamente insufficiente il numero di processi, condotti secondo approcci progettuali e metodologici strutturati, che abbiano come obiettivo esplicito il mettere le comunità in grado di assumere decisioni, pianificare e realizzare strategie che le mettano in grado di esercitare un maggior controllo sui determinanti di salute. La ricerca sulla promozione della salute basata sulle prove di efficacia, d’altro canto, ha confermato la validità di questo approccio e rafforzato la centralità dell’azione comunitaria per ridurre le disuguaglianze di salute e conseguire un livello di maggior benessere. Promuovere l’azione della comunità” resta pertanto una sfida per il futuro estremamente attuale, dagli affascinanti risvolti etici, culturali, operativi e politici. 

Giorgio Chiaranda - Socio SIPS, Delegazione Emilia Romagna



 
Le rubriche

Documentazione e promozione della salute
Promozione della salute e tecnologia 

Cosa significa promozione della salute in un mondo che cambia rapidamente e profondamente? Le persone fin dall'infanzia, le famiglie, i gruppi sociali, le comunità, oggi si trovano di fronte a nuovi rapporti umani, a nuovi modi di essere insieme, di lavorare, di trascorrere il tempo libero, a nuove forme di organizzazione dei servizi educativi, sociali, sanitari sempre più basata su tecnologie digitali ed internet.
I cambiamenti in atto rivoluzionano radicalmente le relazioni umane, le nostre abitudini e i consueti stili di vita. Scardinano perfino quei modelli antropologici ed etici che paiono avere regolato in passato e governato finora la vita sociale, con il rischio di subordinare alla tecnologia (intelligenza artificiale, robot,ecc.) la coscienza e la dimensione soggettiva dell'uomo che da sempre ha basato su tali concetti il significato della sua vita, la salute, il benessere, la malattia e la morte.
L'equilibrio uomo-macchina è complesso da realizzare e difficile da regolare (gioco d'azzardo, ecc.). Le tecnologie possono apparire convenienti, utili, comode, economiche, capaci di originare nuove prospettive di lavoro e nuove sfide. L'uomo, tuttavia, in ogni trasformazione è chiamato a rimanere protagonista, soggetto che promuove consapevolmente e responsabilmente la propria salute, costruendo la propria vita nelle relazioni di reciprocità e di prossimità insieme ad altri uomini. L'uomo non può appiattirsi o alienerasi nella tecnologia: è tenuto a lottare per la vita, riconoscendo che l'ineluttabilità della malattia e della morte non significa necessariamente impossibilità di evitare il dolore e la sofferenza.

Bibliografia
Momigliano F., Lavoratori e sindacati di fronte alle trasformazioni del processo produttivo, Milano. Feltrinelli, 1962;
Amerio P., Psicologia di comunità, Bologna, Il Mulino, 2000;
Bertini M., Psicologia della salute, Milano, Raffaello Cortina Editore. 2012;
Mascini M., L'impatto della tecnologia sul mercato del lavoro, in Annuario 2015;
Brynjolfsson, E., Mc Afee A., La nuova rivoluzione delle macchine, Milano, Feltrinelli, 2015.

di Antonio De Angeli. Socio fondatore SIPS

 

Salute positiva

Il briefing e le riunioni di lavoro in sanità possono influire sul benessere soggettivo?

Le riunioni di reparto e i briefing sono dei momenti di comunicazione organizzati tra colleghi di lavoro. Lo scambio comunicativo porta con sé sempre un contenuto relazionale (Watzlawick, 1978).
Il benessere soggettivo (BS) è un costrutto multidimensionale (Dienir, 2006; Stiglitz, 2010) definito come «una buona condizione mentale, che comprende tutte le valutazioni, positive e negative, che le persone danno della loro vita e le reazioni affettive delle persone per le loro esperienze» (OECD, 2013). Martin Seligman (2011) nel suo modello teorico individua cinque dimensioni del benessere (positive emotion, engagement or flow, positive relationships, meaning or purpose, and achievement) riassunte dall’acronimo PERMA. Le relazioni positive rientrano fra i determinanti di BS (Istat, 2016; Ardis, in corso di pubblicazione) e sono incluse negli strumenti di valutazione del BS (life satisfaction). Per esempio l’Istat valuta sia le relazioni familiari che amicali mentre l’OCSE, nel Better Life Index (http://www.oecdbetterlifeindex.org/), inserisce un indicatore delle relazioni sociali basato sulle persone su cui è possibile contare.
Un modello teorico per lo sviluppo della felicità sul luogo di lavoro (Williams, 2016) propone un approccio dualistico allo sviluppo del BS definendo un livello individuale (Inside-out) e un livello organizzativo (Outside-in). Fra le strategie e pratiche organizzative (Outside-in) per lo sviluppo del BS, vengono collocate le relazioni positive.
In uno studio qualitativo (Zwack, 2013) realizzato sui medici di famiglia che non avevano sviluppato burnout (studio di psicologia positiva o di salute positiva) i contatti con i colleghi sono risultati un elemento in grado di aumentare la resilienza di questi sanitari come risorsa per ridurre l’insicurezza professionale. Un’altra indagine qualitativa condotta su un gruppo di medici di famiglia ha identificato quale fattore di resilienza l’interazione regolare e forte tra pari che permette sia di trovare risposte alle questioni cliniche più difficili sia incanalare lo stress occupazionale (Jensen, 2008).
Un interessante modello sui fattori ambientali per la promozione della resilienza del personale infermieristico (Cusack, 2016) basato su una revisione di letteratura, individua e colloca nel modello vari momenti relazionali formali e informali interpretati come fattori per costruire la resilienza.
Le riunioni di briefing sono incontri di brevi durata per scambiare informazioni prima dell’inizio di un’attività. Hanno la funzione di aumentare la sicurezza di sanitari e pazienti e la qualità della prestazione. Il bisogno di sicurezza si colloca nella parte bassa della scala gerarchica di Maslow (1970). Le situazioni di pericolo mal si conciliano con il benessere anche se riusciamo a sperimentare benessere perfino nelle situazioni di guerra (Frey, 2011).
Inoltre tra le Life Skills più importanti, troviamo le capacità di comunicare in modo efficace e la capacità di costruire relazioni interpersonali per lo sviluppo delle quali, in ambito lavorativo, le riunioni (briefing e non) sono sicuramente una buona palestra. (WHO, 1997)
I dati di letteratura riportati, che potrebbero essere completati da una ricerca più accurata delle fonti, orientano fortemente per una risposta positiva alla domanda posta nel titolo. Le relazioni sono un determinante di benessere sia nella vita privata che sul luogo di lavoro. Il sostegno sociale del gruppo difficilmente può formarsi in assenza di occasioni comunicative di scambio tecnico ed affettivo. Riunioni di lavoro organizzate possono essere uno strumento per favorire il benessere, inoltre i briefing migliorando qualità e sicurezza del lavoro possono favorire il BS.


Bibliografia
Ardis S. Benessere soggettivo: a che punto siamo in Italia? In Trent’anni di Carta di Ottawa. Atti del meeting Nazionale SIPS 2016. Vol II in corso di edizione.
Cusack, L., Smith, M., Hegney, D., Rees, C. S., Breen, L. J., Witt, R. R., ... & Cheung, K. (2016). Exploring environmental factors in nursing workplaces that promote psychological resilience: constructing a unified theoretical model. Frontiers in psychology, 7.
Diener, E., R.E. Lucas and C. Napa Scollon (2006), “Beyond the hedonic treadmill: Revising the adaptation theory of well-being”, American Psychologist, Vol. 61(4), pp. 305-314.
Frey, B. S. (2011). Peace, war, and happiness: Bruder Klaus as wellbeing facilitator. International Journal of Wellbeing, 1 (2), 226-234. doi:10.5502/ijw.v1i2.5 
Istat (1) (2016) La soddisfazione dei cittadini per le condizioni di vita (22 novembre 2016) visto al link http://www.istat.it/it/archivio/192991 (ultima visualizzazione 23 novembre 2016)
Jensen, P. M., Trollope-Kumar, K., Waters, H., & Everson, J. (2008). Building physician resilience. Canadian Family Physician, 54(5), 722-729.
Maslow, A.H. (1970). Motivation and Personality (2nd ed.). NewYork:Harper and Row
OECD (2013). OECD guidelines on measuring subjective well-being. http://dx.doi.org/10.1787/9789264191655-en 
Seligman, M. E. P. (2011). Flourish. New York, NY: Simon & Schuster.
Stiglitz, J. E., Sen, A., & Fitousi, J. (2010). Mismeasuring our lives: Why GDP doesn’t add up. New York, NY: New Press
Watzlawick P, Beavin J H, Jackson D D, Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi. Ed. Astrolabio, 1978.
WHO. Life skills education for children and adolescents in schools. World Health Organization. Division of Mental Health. Geneve, 1997
Williams, P., Kern, M. L., & Waters, L. (2016). Inside-Out-Outside-In: A dual approach process model to developing work happiness. International Journal of Wellbeing, 6(2).
Zwack, J., & Schweitzer, J. (2013). If every fifth physician is affected by burnout, what about 


di Sergio Ardis. Segretario Nazionale SIPS


Il benessere soggettivo come guida per le policy pubbliche:
teorie, misure, raccomandazioni


Lucca, 4, 5 e 6 settembre 2017

Nel 1946 nasceva la definizione di salute: «la salute è benessere fisico, mentale e sociale e non la mera assenza di malattia».

Nel 1986 la promozione della salute veniva definita come la promozione del benessere. Negli anni successivi al 2000 è nata la psicologia positiva. Negli ultimi anni attorno ai concetti di benessere e di psicologia positiva sta prendendo corpo la salute positiva. Gli sforzi di vari settori della società e in particolare dell’economia hanno condotto alla definizione di benessere soggettivo e alla creazione di strumenti per la sua valutazione.

Nel 2013 l’OECD ha pubblicato le linee guida per la misurazione del benessere soggettivo raccomandandone l’adozione ai paesi aderenti. Nel 2016 Adler e Seligman hanno pubblicato un articolo dal titolo “Using wellbeing for public policy: Theory, measurament, and recommendation”.

Già la Carta di Ottawa del 1986 individuava in tutta la società la responsabilità della promozione della salute escludendo che questa potesse essere limitata alla ristretta competenza sanitaria. Oggi grazie al percorso fatto nella teorizzazione del benessere soggettivo e grazie agli studi sempre più numerosi, abbiamo la possibilità di fornire un aiuto concreto a chi si occupa di scelte per la nostra prosperità. La SIPS nell’incontro annuale dei propri soci vuole portare in discussione l’attualità su questi temi.

Abstract
In questo meeting abbiamo previsto un alto numero di comunicazioni orali per permettere il più possibile il confronto fra le esperienze dei soci. Invitiamo ad inviare gli abstract al seguente link
https://form.jotformpro.com/drardis/70764614298970 entro il 15 maggio 2017.
Si raccomanda di seguire le regole editoriali riportate nel form online.

Iscrizioni
Il numero dei posti sarà limitato a 200 partecipanti. Per iscriversi è necessario utilizzare il seguente form online
https://form.jotformpro.com/drardis/70764054300952
Il meeting è gratuito e riservato ai soci SIPS
 
 
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Pubblicazioni scientifiche SIPS
a cura di Sergio Ardis, Chiara Bicchi

Strategie e modelli educativi per la promozione del benessere





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a cura di Sergio Ardis, Chiara Bicchi, Tommaso Carraro

Trent'anni di Carta di Ottawa

Volume I - Abstract



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