Nursing transculturale
L'attualità vede un costante aumento dei fenomeni migratori e con esso segnali crescenti di conflitti culturali; pertanto si rende necessaria un'assistenza infermieristica transculturale.
Il problema non viene percepito, ma anzi osteggiato inconsciamente da un pregiudizio non razionalizzato e squisitamente culturale che esiste in tutti e che, per quanto professionalmente represso più possibile, in modo implicito o esplicito viene fuori ed è percepito.
La causa principale della discriminazione è la scarsa conoscenza culturale: se il personale non è adeguatamente fornito degli strumenti e formato in competenze linguistiche e culturali, si alimenta tale pregiudizio e non si permette un'assistenza congruente.
Per rendere la professione infermieristica sempre più autonoma e pronta alle sfide del futuro, son solo in campo tecnologico e scientifico, ma anche umanistico, nella comunicazione, negli aspetti picologici e sociali, si deve sia rendere gli operatori consapevoli della valenza dell'assistenza transculturale, sia fornire una formazione completa non solo per raggiungere una base linguistica, ma soprattutto una capacità di approccio a culture diverse.
Cultura e società hanno un ruolo fondamentale nel vissuto della malattia, perchè variano i modelli di percezione e di risposta adottati dal paziente, eppure nella pratica assistenziale il contesto culturale risulta invisibile o dato per scontato.
Siamo abituati a una formazione in cui ci viene insegnato a trattare i pazienti tutti allo stesso modo, cosa filosoficamente lodevole, ma la realtà odierna ci impone di superare questo concetto impostando un'assistenza che consideri anche le diverse matrici culturali.
Un approccio integrato di antropologia e nursing permette di porre la persona al centro della relazione terapeutica, aiutando l'infermiere a comprendere i bisogni espressi e inespressi del paziente, nel rispetto della sua cultura e del suo essere. L'infermiere, in quanto utilizzatore della comunicazione quale strumento per erogare assistenza, deve sviluppare conoscenze che gli permettano di creare una relazione culturalmente congruente.
Uno strumento ancora poco sfruttato è il mediatore culturale, le cui funzioni dovrebbero essere delineate e costruite di volta in volta con gli operatori sanitari in un preciso progetto di intervento e con l'unico obiettivo di collaborare, interagendo insieme per raggiungere il progetto comune.
In base a questa visione l'infermiera M. Leininger negli anni '60 fondò una nuova teoria: il TRANSCULTURAL NURSING, una "branca del nursing fondata sullo studio comparato e sull'analisi dei diversi comportamenti sanitari delle diverse culture, finalizzate a sviluppare un sapere scientifico e umanistico capace di consentire la realizzazione di pratiche assistenziali specifiche per ogni cultura e universali".
Per la Leininger il nursing transculturale è l'insieme dei valori, delle credenze, di stili di vita, professionali e tradizionali, cognitivamente appresi e trasmessi e che sono usati per assistere e rendere capace un'altra persona di mantenere il proprio stato di salute.
Oggetto di studio è l'uomo nella sua dimensione olistica e completa.
Le basi teoriche della teoria sono prevalentemente tre:
- lo Human Care, vero perno definito come "l'essenza dell'assistenza infermieristica"
- i principi dell'uguaglianza e della differenza, secondo cui ogni cultura è unica e diversa, ma esistono delle "universalità", punti di contatto validi per ogni cultura
- l'esistenza per ogni cultura di un sistema Emico (tipologie di assistenza generiche, tradizionali) e un sistema Etico (tipologie di assistenza professionali) da scoprire e usare per un'assistenza culturalmente congruente
Il Nursing Transculturale diviene quindi uno schema mentale che permette l'attraversamento dinamico e creativo delle diversità culturali con obiettivi molto pratici:
- eliminare le barriere linguistiche e culturali
- fornire ai professionisti strumenti agili che consentano di individuare la metodologia più opportuna per il singolo
- garantire ai pazienti stranieri chiarezza nelle informazioni e nell'educazione sanitaria
Gli strumenti di applicazione del Nursing Transculturale sono:
- formare il personale sulle competenze interculturali, sviluppare consapevolezza (sensibilità per le differenze culturali), conoscenze (sul fenomeno migratorio e i suoi aspetti socio-sanitari) e abilità (competenze comunicative per gestire la relazione interculturale)
- organizzare corsi linguistici di base che permettano al personale di essere più sicuro nella comunicazione verbale
- organizzare e gestire un efficiente sistema di mediazione linguistico-culturale
Spesso il paziente straniero crea una barriera con il personale che deve assisterlo perché nasce la paura dell'incomprensione. I professionisti sanitari devono acquisire conoscenza dei valori, delle credenze e delle forme di assistenza espresse nelle varie culture e mettere a frutto tali conoscenze per prendersi cura del paziente straniero.
La promozione di una cultura allergologica
La prevalenza delle malattie allergiche in tutto il mondo è drammaticamente in aumento, sia nei paesi occidentali che nei paesi in via di sviluppo. Queste malattie comprendono l’asma, la rinite, l’anafilassi, l’allergia a farmaci, l’allergia alimentare, l’allergia al veleno di insetti, l’eczema, l’orticaria e l’angioedema. Circa il 40% della popolazione mondiale è ormai colpita da una o più patologie allergiche, con impatto negativo sulla qualità della vita e sul benessere socio-economico della società.
Pertanto occorre sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo le malattie allergiche e la loro prevenzione e creare un approccio integrato tra la diagnosi e la gestione delle malattie allergiche. È necessario diffondere la cultura allergologica promuovendo sia l’informazione nella popolazione generale sulle patologie allergiche e immunitarie, sia la formazione permanente dei medici e degli operatori sanitari che operano nell’ambito della salute.
Fra le allergie particolare attenzione merita l’allergia al veleno di imenotteri. Api, vespe, calabroni, gialloni si rendono, spesso, protagonisti di incidenti spiacevoli, se non addirittura di eventi drammatici. Il veleno degli imenotteri contiene sostanze allergizzanti, oltre che ad attività tossica. I soggetti sensibilizzati, in seguito ad una successiva puntura, possono presentare, nell’arco di qualche minuto, reazioni allergiche anche gravi, in alcuni casi addirittura fatali. La sensibilizzazione è più probabile dopo punture simultanee o successive, verificatesi in un breve periodo di tempo. Le reazioni allergiche IgE-mediate possono essere di tipo locale o sistemico. La prevalenza di quest’allergia è doppia negli uomini rispetto alle donne, sia per una maggior esposizione lavorativa sia per una diversa suscettibilità dei soggetti in esame. La presenza di altre allergopatie non rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo della stessa, ma potrebbe influenzarne la prognosi. Si distinguono reazioni locali estese (edema nella sede della puntura, con diametro superiore a 10 centimetri, che dura per almeno 24-48 ore) e reazioni generalizzate, che possono coinvolgere vari organi ed apparati con quadri di diversa gravità. Soprattutto in considerazione di una potenziale evoluzione fatale del quadro, è indispensabile che il soggetto con anamnesi positiva per una reazione generalizzata o per una reazione locale estesa si rivolga ad un centro specializzato, allo scopo di rendere possibile una corretta diagnosi e di stabilire, in base alla gravità della reazione precedente ed al grado di rischio legato a vari fattori, la migliore strategia terapeutica e profilattica.
Nei soggetti sensibilizzati il rischio di reazioni allergiche gravi, in occasione di una successiva puntura, dipende dal grado di gravità della reazione precedente. Si stima, per esempio, che il 50-65% di coloro che hanno lamentato una reazione generalizzata svilupperà una reazione analoga o più grave, in caso di ripuntura. La diagnosi va effettuata in centri che si occupano specificamente della problematica in oggetto e si fonda sui dati anamnestici (riconoscimento dell’insetto pungitore, numero di punture, tipo di sintomi, tempo intercorso tra la puntura e l’esordio del quadro clinico) e sul risultato dei test cutanei e di laboratorio miranti ad accertare l’esistenza di un’allergia IgE-mediata. I test cutanei con estratti purificati di veleno d'imenotteri (prick test e test intradermici) costituiscono la principale prova della sensibilizzazione e vanno eseguiti non prima di 2-4 settimane dalla puntura, per evitare false negatività legate al periodo di anergia che solitamente segue le reazioni allergiche. Al contrario, la sola ricerca nel siero delle IgE specifiche non è sufficiente ai fini della diagnosi e soprattutto della scelta del veleno per l’immunoterapia specifica. Quest’ultima rappresenta una terapia salvavita, in quanto è l’unico trattamento in grado di garantire una protezione quasi completa in caso di nuova puntura. L’immunoterapia specifica con estratti purificati di veleno di imenotteri è protettiva nel 95-98% dei pazienti trattati e trova indicazione in coloro che presentano un rischio significativo di sviluppare reazioni allergiche gravi in caso di nuova puntura. L’immunoterapia consiste nell’iniezione sottocutanea di veleno in dosi crescenti, allo scopo di ridurre il grado di reattività del soggetto in occasione di successive punture. Raggiunta la dose di mantenimento, la terapia viene continuata con un intervallo crescente (da 1 a 6 settimane) tra le somministrazioni, per almeno 5 anni. In ragione del rischio di reazioni avverse, l’immunoterapia deve essere sempre eseguita in ambiente ospedaliero adeguatamente attrezzato e da personale esperto.
Norme preventive
I pazienti con accertata allergia al veleno degli imenotteri devono munirsi di auto iniettori di adrenalina. Cortisonici ed antistaminici, anche se somministrati endovena, non agiscono abbastanza velocemente e non sono in grado di fronteggiare reazioni anafilattiche gravi.
Non effettuare movimenti bruschi e non urlare, se avvicinati da imenotteri, ma allontanarsi lentamente. In caso di puntura d’ape bisogna rimuovere il pungiglione mediante un rapido raschiamento con l’unghia o con una lama, evitando di comprimere il sacco velenifero tra le dita per non facilitare l’inoculazione del veleno.
Evitare l’uso di spray per capelli e cosmetici profumati e non indossare abiti larghi neri o dai colori brillanti, perché gli imenotteri sono attratti da quanto ricorda fiori colorati e profumati.
Munire di zanzariera le finestre dell’abitazione. Nelle camere da letto tenere il più possibile le finestre chiuse.
Evitare il giardinaggio e l’utilizzo di falciatrici elettriche che potrebbero inavvertitamente disturbare o rompere un nido di insetti nascosti nelle siepi, negli alberi o nel terreno. Affidare a personale specializzato la bonifica di eventuali alveari o nidi presenti in casa o nelle vicinanze.
Durante le attività all’aria aperta, proteggersi con camicie a maniche lunghe, pantaloni lunghi, guanti, calzature chiuse. Evitare di camminare scalzi nei prati o sulla spiaggia. Indossare un casco integrale, guanti, pantaloni lunghi per andare in motociclo. Ricordare che il sudore attira gli insetti, così come il colore rosso di molti campi da tennis. Cercare di essere sempre in compagnia durante le attività all’aperto ed in luoghi isolati.
Viaggiare in macchina con i finestrini chiusi soprattutto nel periodo estivo. Munirsi di un insetticida da tenere in auto e da utilizzare contro eventuali insetti penetrati accidentalmente dai finestrini.
Stare lontano da frutteti e da vigne ed evitare di cucinare o di consumare cibi all’aperto (soprattutto frutta, marmellata, miele e bevande dolci), in quanto gli odori degli alimenti attraggono la maggior parte degli insetti. Risulta utile, quindi, coprire il cibo e fare attenzione alle bibite in lattina una volta aperte, per la possibilità che un’ape o una vespa vi siano entrate.
Conservare ben chiusi i rifiuti ed evitare le aree adibite alla loro raccolta; le pattumiere dovranno essere sempre ben pulite e regolarmente irrorate, soprattutto sul bordo, con un insetticida.
Ricordare che ACE-inibitori e beta-bloccanti sono controindicati in pazienti ad elevato rischio di reazioni anafilattiche da punture di imenotteri, in quanto potrebbero aggravare un’eventuale reazione allergica.
Consuelo Arienzo – Socia SIPS, Delegazione Basilicata
Documentazione e promozione della salute
Ben-essere e interiorità
Nell'uomo la promozione del ben-essere richiede la gestione equilibrata delle energie soggettive e l'autodeterminazione libera e responsabile nei confronti della realtà interiore e del mondo circostante.
I pensieri, i sentimenti, la qualità delle relazioni interpersonali ed ambientali provengono infatti dall'esperienza, ma nessuna esperienza da sola produce il significato completo ed esaustivo di quanto ciascuno prova ed elabora dentro di sé e nel rapporto con l'altro nel corso della propria esistenza.
Riflettere, pensare, comunicare, cogliere emotivamente il significato dei propri atti, dei propri vissuti, dei propri stati d'animo, amare, darsi dei fini, accrescono la capacità agire, di mettere ordine nel proprio modo di essere, di porsi insieme agli altri, di scoprire che la convivenza sociale si fonda sul fatto che ognuno di noi aiuta l'altro a raggiungere il proprio scopo.
Diceva Aristotele: “L'attività di pensiero è vita”.Vivere però è anche incontrare l'altro, ascoltarlo, accostarsi alla sua esperienza, dialogare per far emergere nella mente ricordi, sentimenti, idee comuni, e condividere percorsi e progetti.
Il ben-essere sta nel tempo e nello spazio dedicato all'ascolto dell'altro, alla disponibilità ad entrare in relazione, nel confrontarsi, nel capire il significato del rapporto con l'altro.
Il ben-essere è consapevolezza di sé e consapevolezza sociale. La sua ricerca accurata e profonda induce ad esplorare e a guardare al futuro con speranza, a fronteggiare i problemi della vita, a scoprire ininterrottamente nella propria umanità l'umanità dell'altro. La salute non è semplicemente un sentirsi, ma un esserci, un essere nel mondo, un essere insieme agli altri uomini ed essere occupati attivamente e gioiosamente dai compiti particolari della vita.
Bibliografia.
Bruner J. , Verso una teoria dell'istruzione, Roma, Armando, 1967;
Ricoeur P., Sé come un altro, Milano Jaca Book, 1993;
Gadamer H.G., Dove si nasconde la salute, Milano, Raffaello Cortina, 1994;
Kant I., Fondazione della metafisica dei costumi, Roma- Bari, Laterza, 1997;
Giordano M., Ripensare il processo empatico, Milano, FrancoAngeli, 2004;
Kant I., Metafisica dei costumi, Milano , Bompiani, 2006;
Gardner H., Formae Mentis,. Saggio sulla pluralità delle intelligenze, Milano, Feltrinelli, 2010.
di Antonio De Angeli. Socio fondatore SIPS
Antropologia e salute
Il rischio: questo sconosciuto - seconda puntata
La prima puntata terminava con la definizione di rischio data dagli studiosi della Risk Analisys, secondo i quali il rischio si può misurare attraverso il calcolo delle probabilità e quindi affrontare in modo razionale secondo l'idea che le persone, al di là di chi sono, della loro natura sociale e culturale, possano e debbano decidere come comportarsi in base al calcolo di costi/benefici.
Nel 1982 l'antropologa sociale Mary Douglas e lo scienziato politico Aaron Wildavsky pubblicano “Rischio e Cultura”, in questo testo sostengono per la prima volta, che il rischio è creato all'interno di una cultura. I significati dei rischi, le loro qualità ontologiche, le loro implicazioni morali sono il frutto di una costruzione sociale e culturale che avviene attraverso la condivisione di rappresentazioni collettive.
Douglas e Wildavsky provano a spiegare perché l'accettabilità sociale dei rischi muti nei diversi contesti e momenti storici, e non possa essere collegata esclusivamente alla razionalità statistica; essi credono che la percezione del rischio sia un processo sociale. La tesi di base della teoria culturale definisce i rischi come percepiti e selezionati dagli individui, dai gruppi e dalle istituzioni in modo diverso, corrispondente alla loro collocazione in diversi contesti sociali.
Il rischio quindi costituisce il prodotto di una costruzione sociale.
Il rischio non è una caratteristica fisica della realtà, un oggetto naturale, un dato di fatto misurabile in senso assoluto, ma è una categoria cognitiva, un costrutto mediante il quale rappresentiamo correlazioni tra eventi concreti così da poterli governare con tecniche particolari per particolari obiettivi. In altri termini il rischio è una categoria del pensiero che rende rappresentabile e manipolabile in termini statistici, sociologici ed epidemiologici una data serie di eventi e fenomeni concreti. (Ligi, 2009)
I fenomeni che selezioniamo e identifichiamo come rischi hanno uno statuto ontologico importante nell'interpretazione di noi stessi e dei nostri mondi sociali e materiali. Le società e, all'interno di esse, le istituzioni, i gruppi e gli individui, hanno bisogno di questo processo in quanto elemento del loro funzionamento. La selezione dei rischi e le attività associate alla loro gestione (quindi anche le politiche e le strategie di promozione della salute e di prevenzione) sono centrali per il loro ordine, la loro capacità di funzionare e l'identità sia degli individui sia delle culture. (Lupton, 2003).
Indicare come prioritario un rischio piuttosto che un altro, e questo riguarda anche i comportamenti, significa stabilire un ordine di gravità e/o di accettabilità determinato da differenti rappresentazioni di un fenomeno concreto inscritte in un dato contesto.
Quale può essere quindi il contributo principale che l'antropologia culturale può fornire alla ricerca sul rischio? La risposta è: il contesto; il rischio è estremamente legato al contesto ed è fluido.
Le relazioni sociali. le relazioni di potere, le gerarchie, le credenze culturali, la fiducia nelle istituzioni e nella scienza, la conoscenza, le esperienze, i discorsi, le pratiche e le memorie collettive contribuiscono a formare nozioni sul rischio e sulla sicurezza.
Rischio non è una proprietà intrinseca delle cose, è un termine relazionale che emerge da contesti a loro volta dipendenti da significati stabiliti e condivisi per convenzione, vale a dire la cultura.
I rischi sono situati socialmente, nel tempo e nello spazio e dipendono dal contesto. Non possono mai essere dati per scontati, ma sono oggetti in grado di minacciare la sicurezza sociale e individuale e vengono continuamente negoziati a livello interpersonale.
Nella prossima puntata illustrerò la teoria relazionale del rischio sviluppata da alcuni antrolopologi svedesi a mio parere molto utile per comprendere alcune strategie operative basate sull'idea che il rischio si può prevenire.
Bibliografia.
Douglas, M., Wildavsky, A., Risk and Culture: An Essay on the Selection of Technical and Environmental Dangers, University of California Press, 1982
Ligi, G., Antropologia dei disastri, Edizioni Laterza, Bari, 2009
Lupton, B. Il rischio, percezioni, simboli, culture, Il Mulini, Bologna, 2003
di Lucia Portis - Socia SIPS, Delegazione Piemonte
Evidenziamoli
Abstract presentati che meritano maggiore attenzione
L’ospedale promuove salute: il progetto animazione gocce di riso per trasformare il pensiero in azione in neuroriabilitazione
Elio Garbarino1, Francesca Furciniti2, Giovanni Antonio Checchia1, Mirella Serra1, Laura Rosa1
1. Ospedale Santa Corona, ASL2 Savonese,
2. Associazione Gocce di Riso
e.garbarino@asl2.liguria.it
L'etimologia del termine animazione ci anticipa il significato che si nasconde nell'agire animativo: dare anima, infondere vita, mettere in movimento, agire con anima; animare l'azione vuol dire “fare” ma impregnando le azioni di SENSO al fine di facilitare processi attraverso i quali le persone riscoprono la capacità di abitare il tempo che vivono. “Animazione” è un termine che nel gergo comune viene utilizzato nelle maniere più disparate ed in senso molto riduttivo, basti pensare che spesso, quando si sente parlare di animazione la prima immagine che viene in mente è quella dei villaggi turistici, dove le persone si divertono con l'animatore.
Purtroppo quella della “animazione in reparto di riabilitazione”, viene considerata come l'insieme delle attività ludico-ricreative pensate “per far trascorrere il tempo agli utenti”. Aiutare le persone a dare senso alla loro vita qualunque sia la loro situazione psico-fisica, richiede innanzitutto un presupposto che si trova nella condivisione dei seguenti concetti:
• considerare la persona come “essere progettuale”;
• ogni persona durante tutta la sua esistenza deve continuamente mettere in atto le proprie risorse per adattarsi alle nuove condizioni di vita che cambiano nel tempo;
• considerare la persona nella sua “globalità di aspetti” interdipendenti fra loro che favoriscano il mantenimento della sua integrità psico-corporea;
• considerare la persona come ESSERE SOCIALE che si realizza nel rapporto con gli altri, con l'ambiente in cui è inserito inteso sia in termini strutturali/fisici, ma soprattutto in termini di relazioni e interazioni.
Questo progetto 2014, in fase sperimentale, prende in esame tutto l’intervento animativo-educativo analizzando in primis i bisogni degli utenti della Struttura Complessa Recupero e Riabilitazione Funzionale dell’Ospedale Santa Corona di Pietra Ligure.
Per fare un progetto è dunque necessario allacciarsi al bagaglio conoscitivo ed esperienziale acquisito nel passato dal singolo attore coinvolto nel progettare, e al significato che tali esperienze hanno per ciascuno, ovvero educatori ed ospiti insieme per una progettazione condivisa e virtuosa. Il servizio di animazione è composto da volontari tesserati dell’Associazione è operativo per la durata dell’anno e garantisce la presenza di due o tre volontari per due sabati al mese dalle 16 alle 17.30. Le attività, che intendono stimolare e interessare “l’utente”, hanno i seguenti obiettivi:
• aumentare la socializzazione e sviluppare i rapporti interpersonali;
• sviluppare nuove abilità e nuovi interessi;
• valorizzare il protagonismo e l’autostima;
• stimolare la memoria, l’attenzione e la comprensione;
• stimolare le capacità cognitive e logico-matematiche;
• stimolare al dibattito e allo scambio di idee;
• stimolare a superare la passività;
• educare ad accettare le regole;
• esprimere emozioni, sentimenti e ricordi.
Ecco la vera sfida: dare senso... E non è una cosa così visibile, tangibile, misurabile, tanto meno semplice e veloce.
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