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Società Italiana per la 

Promozione della Salute


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OTTOBRE 2013   -  n. 17
 

In questo numero:

A proposito di piccoli ospedali: ma sono ospedali?
Piccoli ospedali: ma sono ospedali?
Piccoli ospedali
Amici per la vita
Il ruolo degli insegnanti e della scuola nella promozione della salute
Filippo La Mantia: Nuovo Presiente della Delegazione Sicilia



A proposito di piccoli ospedali: ma sono ospedali?

La chiusura dei piccoli ospedali è la conseguenza della globalizzazione, intesa come un processo di interdipendenze politiche ed economiche con effetti positivi e negativi per le comunità locali. Tra gli aspetti positivi vanno considerati la velocità delle informazioni, gli scambi culturali e soprattutto la sicurezza delle cure derivanti, oltre che dai fenomeni elencati, dalla maggiore esperienza pratica degli operatori sanitari. Tra gli aspetti negativi, l’arretratezza culturale e pratica degli operatori che rimangono a lavorare nei piccoli ospedali con conseguente aumento delle disparità sociali nei confronti delle popolazioni locali che sono costrette, comunque, a rivolgersi verso le strutture che offrono maggiori garanzie di salute (alte tecnologie, clinical competence). Tutto ciò si traduce per gli ospedali maggiori in fenomeni negativi che sono l’overcrowding, soprattutto nei pronto soccorso, definito come la condizione in cui le necessità assistenziali dei pazienti afferenti, compresi quelli presenti nella sala d’attesa, superano la capacità del Dipartimento d’Emergenza (D.E.) di offrire risposte adeguate in un tempo ragionevole e il boarding la situazione nella quale pazienti che devono essere ricoverati sostano nel D.E. perché non sono disponibili posti letto in ospedale. Numerosi studi hanno evidenziato che il sovraffollamento nel D.E. è causa di un peggioramento delle cure in urgenza e i pazienti che prolungano la loro permanenza nel DE, in attesa di ricovero oltre le quattro ore, hanno un aumento della mortalità a 10 giorni o un prolungamento dei tempi di ricovero in ospedale. C’è da chiedersi se alle Aziende Sanitarie interessi realmente il problema dell’overcrowding o se, al contrario, l’aumento degli accessi e un DE affollato sia interpretato come il risultato positivo di un alto tasso di occupazione di posti letto con conseguente fonte di guadagno importante, solida e rinnovabile per le strutture ospedaliere.
Questi due fenomeni, spesso riportati dai media come fenomeni di malasanità, al momento, sembrano incontrollabili e sono da attribuire fondamentalmente alle seguenti cause: riconversione incompleta dei piccoli ospedali con permanenza degli operatori nelle sedi periferiche senza il potenziamento, rispetto ai nuovi bisogni di accoglienza, degli ospedali hub; inapppropriatezza delle prestazioni erogate, aumento della popolazione anziana, crisi della medicina di base, mancanza di adeguate strutture (perché no i piccoli ospedali?) per l’assistenza postacuzie, hospice e socio-assistenziale, incremento dei pazienti oncologici e fragili, posizione orogeografica dei territori.
Poiché la politica parla molto di processi di razionalizzazione dell’assistenza e riduzione della spesa, ne consegue che attualmente solo una riorganizzazione operativa complessiva delle reti socio-assistenziali di  un territorio può fronteggiare questo fenomeno e controllare la pressante richiesta di assistenza appropriata. Solo la riorganizzazione delle Unità Operative e dei Servizi dei grandi ospedali, una seria ri-definizione del ruolo dei piccoli ospedali e l’elaborazione di percorsi clinico-assistenziali di continuità tra gli stessi può essere l’arma vincente per rispondere in modo efficiente ed efficace ai problemi che quotidianamente incontrano i pazienti, in attesa di una riforma sanitaria coraggiosa che metta al centro del sistema sanitario il paziente e non gli interessi politici e di casta.
Nel raggiungimento degli obiettivi ognuno deve fare la sua parte evitando le cosiddette “Turf Wars" (guerre di territorio); non serve che un servizio o struttura ospedaliera funzioni se un altro non persegue gli stessi obiettivi.
È soprattutto sul cambiamento organizzativo e di comunicazione che si gioca la ri-progettazione di un sistema sanitario moderno, attualmente, con notevoli limiti di risorse, e al quale i pazienti–utenti richiedono risposte sempre più adeguate e tempestive. Di pari passo, ai cambiamenti culturali e organizzativi che vengono richiesti agli operatori sanitari devono corrispondere cambiamenti culturali e prese di posizioni non demagogiche della classe politica, dei cittadini e delle loro rappresentanze. Solo in questo modo si potrà trovare un ruolo per i piccoli ospedali che dovrebbero comunque cambiare la loro definizione e non chiamarsi più ospedali.

Carmine Sinno, SIPS Basilicata

Piccoli ospedali: ma sono ospedali?

Sono ormai anni che si parla di chiudere “piccoli ospedali”, ma nulla ancora viene deciso.
Conosciamo benissimo quali sono le resistenze da parte delle Amministrazioni Locali che ancora non si rendono conto che è in corso una rivoluzione in questa materia. Non si rendono conto infatti che dal 25 ottobre 2013 i cittadini dell’Unione Europea potranno liberamente scegliere dove farsi visitare, curare o operare: solo una sanità di eccellenza potrà reggere positivamente questo ulteriore confronto e tale eccellenza non si può certo ottenere nei piccoli ospedali perché ospedali non sono.
Il modello dei piccoli ospedali su cui ancora oggi si discute va necessariamente rivisto per un semplice motivo: non sono ospedali ma qualcosa di diverso e cerchiamo di capirlo.
Nella prima riforma ospedaliera del 1890 il Governo Crispi ebbe il coraggio di effettuare una netta divisione tra le Opere Pie che si occupavano di beneficenza e quelle che invece erogavano assistenza. Per essere Ospedale bisognava avere tutta una serie di reparti tra cui Chirurgia, Medicina, Ostetricia e Pronto Soccorso.
Anche la riforma Petragnani del 1938, oltre ad articolare gli ospedali in tre categorie a seconda della media giornaliera di ricoveri ed a prevedere quelli specializzati, chiarisce che gli stessi provvedono alle cure medico-chirurgiche, ostetrico-ginecologiche, pediatriche e specializzate.
Ancora più dettagliata nei requisiti è la riforma Mariotti del 1968 che oltre a istituire ospedali generali e specializzati ne prevede la classificazione su tre categorie: di zona, provinciali e regionali; ed è proprio su questi di zona che per Mariotti dovevano sempre avere reparti di Medicina – Chirurgia – Pediatria – Ostetricia e Ginecologia, che ora sono diventati i “piccoli ospedali” su cui ci accende la discussione e allora ci poniamo la domanda: ma sono ospedali? Dove sono i Reparti? E i Servizi?
Di fronte alle sfide che ci attendono, in un futuro sempre più globalizzato, è necessario pensare e realizzare i nuovi modelli di organizzazione territoriale per presidiare la salute, ma non lo si fa con i “piccoli ospedali”, che ospedali non sono, ma con una rivoluzione organizzativa. E a nulla vale in tal senso fare la “rete degli ospedali” o “gli ospedali in rete”, in quanto la sostanza rimane la stessa e sempre di “piccoli ospedali” si parla.
A questo nuovo modello di organizzazione dovranno partecipare le Amministrazioni Locali con la loro opera di Educazione alla Salute nei confronti di tutta la comunità, perché non si può avere il controllo sulla salute e sui suoi determinanti se chi ha la responsabilità della “cosa pubblica” non chiama le “cose” con il loro vero nome.
Unicuique suum: a ciascuno il suo; alla Sanità il compito di accettare la sfida che l’attende, agli Amministratori della “res publica” quella non facile di educarsi/educare alla responsabilità.

Riccardo Senatore Presidente Nazionale SIPS

 Documentazione e promozione della salute
Piccoli ospedali

I piccoli ospedali sono compatibili con una idea politica che indichi valori, modelli decisionali e comportamentali ispirandosi a una visione aziendale competitiva e di successo? La gestione dei servizi sanitari e sociali può promuovere salute e benessere senza risolvere responsabilmente il rapporto tra efficienza ed equità? Quanto è importante investire in solidarietà per promuovere la salute della gente nel tempo della globalizzazione?
Per alcuni studiosi e ricercatori una società può progredire soltanto se è capace di uscire dalla logica del “dare per avere” e del “dare per dovere” e aprirsi nei fatti alla prospettiva della solidarietà. Il dibattito culturale contemporaneo guarda con grande interesse alla promozione della salute e, nella gestione dei servizi socio-sanitari, avverte la necessità di un governo della salute radicato sul riconoscimento alla persona della titolarità dei diritti primari e non già allo Stato (Giorgio La Pira).
L'articolo 32 della nostra Carta costituzionale recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
La salute è diritto fondamentale solo se viene compresa da ogni persona liberamente e responsabilmente e vissuta in una comunità che intenda praticarla e promuoverla nelle attività ordinarie e nelle iniziative di vita quotidiana.
Anche la politica e le istituzioni pubbliche nei confronti dei piccoli ospedali debbono chiedersi perciò prima di tutto il significato della presenza degli stessi nel territorio, cercando di cogliere le esigenze delle persone piuttosto che le ragioni e gli strumenti dello sviluppo economico.
D’altronde i piccoli ospedali di per sé non possono essere considerati responsabili della accresciuta limitazione delle risorse a favore dell’azione sociale e sanitaria delle istituzioni. Il CENSIS ha evidenziato come proprio in Italia le persone collocate ai livelli bassi sono quelle che incontrano maggiori difficoltà a portarsi sui livelli più alti della scala sociale e a ricevere cure appropriate.
La promozione della salute per queste ragioni suggerisce di porre l’attenzione sulla capacità degli individui di vivere grazie alla fruizione dei servizi, piuttosto che preoccuparsi in generale di porre beni e servizi a disposizione dei portatori di bisogni.
In parole più semplici pare necessario finalizzare le risorse pubbliche, ottenute dalla tassazione, più a sostegno dei soggetti che chiedono i servizi che a vantaggio dei soggetti che offrono servizi.
Le priorità delle istituzioni e della politica dipendono dai bisogni delle persone e non dalla capacità di successo dei servizi nell'ambito della concorrenza e del mercato.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità da anni considera i sistemi sanitari universali come la migliore risposta sia ai diritti delle persone che alle stesse esigenze di sostenibilità del welfare.
 
Bibliografia:
Bartolini S., Manifesto per la felicità, Donzelli editore, Roma, 2010
Boeckenfoerde E.W., La formazione dello Stato come processo di secolarizzazione, Morcelliana, Brescia, 2006
Cozzi G., Ferrero G., Principi ed aspetti evolutivi del marketing aziendale, G. Giappichelli Editore, Torino, 2000
Cotta S., I limiti della politica, Il Mulino, Bologna, 2002
Benedetto XVI, Caritas in veritate, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano, 2009
Locke J., Lettera sulla tolleranza, La Nuova Italia, Firenze, 1963
De Angeli A. Salute e cittadinanza sociale, Clemente Editore, Massa, 2008

Antonio De Angeli Socio fondatore SIPS

Evidenziamoli

Abstract presentati che meritano maggiore attenzione
Amici per la vita
Umberto Cherubini, Angelo Albero, Sergio Ardis, Paola Bartolini, Roberta Della Maggiora, Martina Fondi 
Istituto di Istruzione Superiore “E.FERMI” Lucca

Il Progetto: “Amici per la Vita” (ApV) nasce da un'idea di alcune ragazze che hanno partecipato al campus "Di testa mia" organizzato nel 2010 dalla Regione Toscana, durante il quale è stata rilevata la mancanza di una struttura capace di offrire un sostegno, nelle scuole, a coloro che presentano disturbi del comportamento alimentare o altri disturbi psicofisici.
L'idea è diventata un progetto, che ha ricevuto un finanziamento per la sua realizzazione e si propone di formare alcuni giovani, di età compresa tra i 15 e i 20 anni, su modalità relazionali e temi specifici (ascolto, empatia, gestione delle emozioni, comunicazione non verbale, educazione sessuale…) per diventare agenti “portatori di salute” nel gruppo dei pari, nelle scuole.
L'idea viene accolta con entusiasmo all’ITIS “E.Fermi” e al Liceo Scientifico “Vallisneri” di Lucca, che avevano già costruito, insieme all’ U.O. Educazione e promozione della salute – Azienda USL 2 Lucca, un gruppo di docenti (Gruppo ELP) e di studenti (Gruppo Mafalda e Tutor) che portavano avanti, con la metodologia della peer education, specifiche iniziative per promuovere salute nelle scuole di Lucca; su queste basi nasce il gruppo ApV e proprio l’intreccio, lo svolgersi di attività tra ragazze/i di scuole diverse risulta essere estremamente motivante e anche produttivo.
Il gruppo di ApV viene chiamato a collaborare all’organizzazione e/o svolgimento di diversi progetti (fiocco bianco, frontiere, donazione, mondiali di ciclismo), mettendo alla prova con il lavoro “sul campo” le competenze acquisite.
Tutto ciò risulta estremamente positivo e congruente con il lavoro già avviato ed in parte consolidato, anche come offerta di percorsi nuovi e accattivanti, per rendere consapevoli i ragazzi della complessità della comunicazione e fornire loro un modello interpretativo nella relazione tra pari che li aiuta nella lettura delle dinamiche di gruppo e permette l’assunzione di responsabilità degli studenti anche sperimentando ruoli nuovi: studenti – tutor, “fratelli maggiori”; proporsi in questi nuovi ruoli comporta anche una presa di coscienza di “ciò che sono“ favorendo il nascere di situazioni di benessere e di autostima (empowerment).
Il gruppo dei ragazzi di ApV diventa, nella scuola, un momento di intercettazione “potenziale” di eventuali situazioni di disagio per indirizzarle o verso i servizi che la USL 2 mette a disposizione e fornire comunque ai ragazzi giuste informazioni ed un contesto di ascolto e di apprendimento di nuove abilità relazionali, al fine di migliorare il loro rapporto con gli amici che presentano disagi alimentari o altri problemi psicofisici.
Il gruppo dei ragazzi di ApV permette ai tutor di utilizzare, nella relazione tra pari, gli strumenti di comunicazione conosciuti nei progetti precedenti e inserire queste competenze e abilità in una specifica formazione sulla relazione d’aiuto e facilitare la propagazione di buoni stili di vita tra gli studenti partendo dalle tematiche della salute e del benessere.
È certamente presto per misurare la ricaduta dell’attività progettuale sulla popolazione scolastica, si può sicuramente osservare che il modello proposto comincia a destare interesse e rispetto nei compagni, che guardano con occhio nuovo queste nuove forme di protagonismo e di aggregazione giovanile anche tra ragazzi di scuole diverse su temi significativi per la loro crescita; ciò conferma l’importanza che hanno momenti di formazione e sensibilizzazione sui temi della salute e del benessere rivolti a un gruppo specifico, anche se non ancora strutturato e senza una leadership ben definita ma diffusa.  

Presentato al Meeting "Promozione della salute e diritti umani" - Pisa 19 aprile 2013

Il ruolo degli insegnanti e della scuola nella promozione della salute

Primo annuncio
Siena 4 aprile 2014

La Società Italiana per la Promozione della Salute ha scelto il tema del meeting annuale che si terrà a Siena il 4 aprile 2013. La scuola è un ambito privilegiato per promuovere salute e investire nel benessere delle generazioni future. La responsabilità della salute è condivisa tra studenti, insegnanti e genitori e, sebbene anche i servizi sanitari possano giocare un ruolo salutogenico, gli attori principali rimangono i diretti protagonisti della scuola.
La ricerca del  benessere degli studenti e degli insegnati a scuola sarà l'argomento di riflessione del meeting. Il confronto di esperienze e di studi sull'argomento, garantito dalle comunicazioni orali e dai poster, contribuirà alla diffusione spontanea delle migliori pratiche presentate al meeting.
Gli insegnati e gli operatori della promozione della salute che desiderano presentare le loro esperienze possono utilizzare il form online.
Per maggiori informazioni: meetingsiena@sipsalute.it

Filippo La Mantia
Nuovo Presidente della Delegazione Sicilia

Nelle scorse settimane Antonino Artese si è dimesso per motivi personali dalla carica di Presidente regionale pro tempore della Delegazione Sicilia.
Al suo posto, il Presidente Nazionale ha provveduto a nominare Filippo La Mantia. Medico, specialista in neurologia, è Responsabile U.O. “Educazione alla Salute Distrettuale ” del D. S. n. 33 di Cefalù inoltre è Responsabile f.f. U.O. “Educazione alla Salute Aziendale” ASP - Palermo.
Nel suo ampio curriculum possiamo evidenziare alcune particolari attività. Coordinatore Responsabile dell’Equipe Pluridisciplinare per l’handicap (legge Regione Siciliana n.16/86) della USL n. 49 di Cefalù.  Referente della Campagna Straordinaria di Educazione Alimentare promossa da Ministero della Sanità.  Componente del Comitato tecnico–scientifico per l’aggiornamento professionale USL n. 49 di Cefalù. • Responsabile del progetto-obiettivo - USL n.49 di Cefalù: Interventi di prevenzione primaria nel quadro di lotta alle Malattie Cardiovascolari”. 
Varie esperienze nell'ambito della prevenzione, dell'educazione sanitaria e della promozione della salute.
(Visita le pagine regionali della SIPS)

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Sede legale presso Il Centro Nazionale del Volontariato

Via Catalani, 158 – 55100 Lucca

 Email: segretario@sipsalute.it

 



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