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Numero 51 novembre 2016

 
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La Carta di Ottawa: una svolta, una bussola, una testimonianza

Sono stato uno dei 150 partecipanti che nel 1986, dal 17 al 21 novembre a Ottawa, hanno contribuito alla prima conferenza internazionale di promozione della salute. Quell’anno mi trovavo come Visiting Professor alla Carlton University di Ottawa. La conferenza avvenne in un hotel (se ricordo bene the Alpha Hotel) a poche centinaia di metri da dove abitavo. La conferenza, co-organizzata dall’Ufficio Europeo dell’OMS ed il governo canadese, produsse quello che ormai tutti conoscono: “The Ottawa Charter for Health Promotion”.
C’è un libro molto divertente “Il professore va al congresso” di David Lodge – in cui si racconta dei congressi a cui tanti accademici ed esperti partecipano, spesso non sapendo di che argomento si va a trattare. Nonostante il libro mi abbia molto divertito – devo dire che in tanti anni di carriera come esperto di salute pubblica – per fortuna non mi sono mai trovato a vivere una situazione così paradossale. Mai, soprattutto alla Conferenza di Ottawa.
L’evento a cui prendevo parte a Ottawa in quel lontano 1986 era così pieno di un senso di possibilità, quasi solenne. Come se la volontà di tutti raggiungesse un livello di sintonia e di tenacia oltre la norma. Non voglio esagerare, ma ricordo l’eccitazione e quel tipo di attesa e determinazione per produrre la Carta di Ottawa nell’ultimo giorno della Conferenza. L’attesa delle grandi cose. Magari il mio ricordo di Ottawa è una sensazione quasi anacronistica. Come quando la mia generazione ricorda eventi vissuti davanti a televisori di altri tempi – quando c’erano eventi storici o notizie eclatanti e tutti guardavano lo schermo in bianco e nero sperando, pensando, immaginando cosa sarebbe accaduto – con emozione, interesse, candore anche.
Ho un ricordo molto preciso del mio stato d’animo e della tensione mentale che provai nel corso della conferenza di Ottawa. C’era sì entusiasmo e grande determinazione – ma anche una lucida consapevolezza: si intuiva che stavamo mettendo insieme degli ingredienti forti che avrebbero portato a cambiare un paradigma. Il paradigma del modo di pensare alla Salute e al come la si promuove. Un cambiamento che andava ben al di là di ciò che all’epoca si definiva educazione sanitaria.
In più di un’occasione – molti colleghi, nel tempo, mi hanno chiesto se la Carta di Ottawa fosse già stata preparata dall’OMS a priori, ossia prima della conferenza. Sono sincero nell’affermare che la Carta di Ottawa è nata proprio nel corso esatto di quella conferenza.
Ci furono delle fasi anche caotiche, ammetto. Vi furono ore e ore di dibattito, di confronto scientifico e condivisione di esperienze professionali, di scambio tra esperti provenienti da paesi e da discipline diverse. In quelle giornate ci fu un convergere di menti, di spunti – e l’obiettivo unico era il rilancio della salute, la sua promozione e la sua salvaguardia. Ricordo l’intensità di quelle discussioni. Si creò una forma di magia (forse il candore di cui scrivevo poco fa) che risultò nelle due pagine più famose nel campo della salute pubblica. Si produsse cosi il documento che ancora oggi è un cardine, un punto fermo, una bussola per chi si occupa di promozione della salute: la Carta di Ottawa.
Credo però che non sarebbe stato possibile arrivare alla Carta di Ottawa se due anni prima, nel 1984, l’OMS non avesse organizzato un workshop a Copenhagen allo scopo di definire i concetti e principi fondamentali della promozione della salute. In quell’anno, lavoravo all’Unità di Ricerca sulla Salute ed il Cambiamento Comportamentale (Research Unit in Health and Behavioural Change) dell’Università di Edimburgo in Scozia. Il mio direttore di allora, David McQueen, mi chiese di commentare una bozza da cui sarebbe poi scaturita una pubblicazione OMS, molto concisa, dal titolo: “A discussion document on the principles and concept of health promotion”. Chi fosse interessato la può scaricare da internet e constatare che questo documento contiene il DNA di quello che poi troviamo nella Carta di Ottawa.
Ma cosa possiamo dire oggi a 30 anni dalla Carta di Ottawa? Direi che il concetto di fondo, i principi ed i 5 campi di azione descritti nella Carta sono importanti adesso come lo erano allora. Progressi sono stati fatti sia nel campo della ricerca sia nella modernizzazione dei programmi di salute pubblica. Però è onesto dire che pochi paesi hanno effettivamente lavorato in modo sinergico e sistematico su tutte le 5 aree della Carta di Ottawa.
Nei processi di riforma nel campo delle politiche per la salute, molti paesi si sono fermati solo su una delle 5 aree di azione. Troppo spesso non sono andati oltre l’area di azione denominata nella Carta di Ottawa come “developing personal skills” (sviluppare abilità personali). In generale le altre 4 aree (creating supportive environments; strengthening community actions; re-orienting health services; and building healthy public policy) sono state alquanto trascurate nelle iniziative di riforma di politica socio-sanitaria.
In questi ultimi 30 anni non sono mancati gli esempi di riforme che hanno cercato di scaricare sui singoli individui tutta la responsabilità legata alla loro salute. Questo in effetti non è coerente con tutto quello che fu discusso alla conferenza di Ottawa e con il contenuto stesso della Carta. Inoltre, resta ancora moltissimo da fare per migliorare le fondamentali condizioni e risorse della gente per promuovere la salute.
Non dobbiamo dimenticarci la lungimiranza della Carta di Ottawa quando in modo chiaro e preciso indica come pre-requisiti per la salute: la pace, l’alloggio, l’accesso all’istruzione, al cibo, ad un lavoro ben retribuito, all’avere un eco-sistema salubre, stabile e sostenibile; la garanzia di un sistema politico ed economico basato sulla giustizia sociale ed equità. Da un certo punto di vista la Carta di Ottawa contiene già gli elementi che trovano oggi un riscontro del tutto contemporaneo. Mi riferisco all’anno scorso, quando nel settembre 2015 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.
Oggi chi ha a cuore la salute della popolazione deve affrontare la complessità che è intrinseca all’ impegno politico che mira a proteggere e promuovere la salute di tutti, riducendo le orribili ed ingiustificate iniquità di stato di salute presenti nei nostri paesi. Dobbiamo continuare lungo il difficile sentiero che porta ad avere più salute, più equità e più giustizia sociale in tutti i settori di governo. In questo percorso è indispensabile essere ben attrezzati sia dal punto di vista scientifico che in quanto a valori.
Sicuramente abbiamo strumenti molto più sofisticati adesso rispetto al 1986, ma non va mai dimenticato che disponiamo di una valida bussola sempre a disposizione: la Carta di Ottawa. 


Erio Ziglio - Socio SIPS - Componente del Comitato Scientifico Nazionale SIPS
Il Dottor Ziglio è Professore Onorario all’Università di Scienze Applicate 1 Tyrol in Austria. Membro del Comitato scientifico della SIPS. È stato per oltre venti anni all’Ufficio Europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità come responsabile del programma di promozione della salute e come Direttore dell’Ufficio Europeo per gli Investimenti in Salute e Sviluppo.

 

Medaglia d’oro per la promozione della salute 2016 a Sante Bajardi

Nel corso del meeting Nazionale SIPS tenutosi a Genova il 17 e 18 novembre 2016 “Trent’anni di Carta di Ottawa” è stata consegnata la Medaglia d’oro per la promozione della salute 2016. Approvata unanimemente dal consiglio Direttivo Nazionale per gli indiscutibili meriti nell’aver promosso la salute in Italia come politico e come cittadino. Da oggi Sante Bajardi è socio onorario della Società Italiana per la Promozione della Salute.


Nell'immagine Sante Bajardi a destra e Riccardo Senatore a sinistra

Riportiamo una breve biografia che ci permette di capire la portata del suo contributo alla promozione della salute in Italia.
Nato nel 1926 a Torino, studia nelle scuole di fabbrica fino a conseguire la qualifica di operaio metalmeccanico e poi di perito industriale. In quegli ambienti sviluppa una particolare sensibilità per la sicurezza e la tutela della salute negli ambienti di lavoro, che diventeranno in maniera sempre più determinata uno dei fili conduttori della sua attività politica nelle istituzioni e, in seguito, nell’attività di volontariato del CIPES, l’associazione per la promozione della salute fondata nel 1990.
Già negli anni 50, l’impegno per la tutela della salute sui luoghi di lavoro lo vede presente, come dirigente politico, tra i lavoratori della Olivetti, della Chatillon, della RIV di Villar Perosa, tra i minatori della Talco Grafite in Val Germanasca e poi alla tristemente nota IPCA di Ciriè.
A metà degli anni 60, acquisisce la consapevolezza del drammatico problema rappresentato dall’amianto. Inizia così una nuova e strenua battaglia per cercare di eliminare questo minerale dalle produzioni, industriali: dalla Ferodo di Grugliasco che produceva pastiglie per i freni a base di amianto, alla Eternit di Casale,  all'Amiantifera di Balangero Torinese, spesso in aspro confronto con i titolari e i dirigenti delle fabbriche, da un lato, e con i sindacati dei lavoratori, dall’altro.
La sua nomina ad assessore alla sanità del Piemonte nel 1980 consente di sferrare il colpo decisivo contro le produzioni industriali basate sull’amianto attraverso il sostegno alla realizzazione di una ricerca guidata dal Prof. Terracini dell’Università di Torino, i cui risultati, dopo un’indagine epidemiologica durata 5 anni, portarono alla chiusura dello stabilimento di Casale e al trasferimento del problema amianto all’autorità giudiziaria, com’è ormai noto a tutti. 
Al di là della drammatica questione amianto, l’impegno politico dell’assessore Bajardi è stato sempre segnato dalla passione per il tema della prevenzione e della tutela della salute, documentato dalla raccolta completa delle leggi e delle delibere prodotte sotto la sua gestione della sanità piemontese negli anni della prima riforma sanitaria, raccolta che attualmente è conservata presso la sede torinese dell’Archivio di Stato.
Cessato l’impegno politico nelle istituzioni (1985), il suo impegno sul tema della salute si è ulteriormente intensificato in stretta relazione con i principi e gli indirizzi che andavano prendendo forma a seguito della Conferenza di Ottawa. Su questa linea ha contribuito, fra l’altro, alla realizzazione del Centro Sperimentale di Educazione Sanitaria dell'Università di Perugia, ha avviato la costituzione di un Centro di Documentazione sulla salute (da una cui costola è nato il DORS) e, soprattutto, ha fondato CIPES Piemonte nel 1990, associazione a cui si devono tutte le più importanti iniziative per la diffusione dei principi della Carta di Ottawa in Piemonte, ma non solo.
Al CIPES e al suo fondatore vanno, infatti, il merito di aver contribuito alla diffusione della attività della Rete Città Sane, alla creazione della Rete piemontese degli Ospedali che promuovono salute (HPH) (con una capillare attività di sensibilizzazione su questo tema presso le regioni italiane), alla fondazione dello IUHPE e di aver contribuito, direttamente o con borse di studio, alla formazione di operatori delle pubbliche amministrazioni sui temi della salute declinati secondo i principi della “salute in tutte le politiche”.
 
Le rubriche

Documentazione e promozione della salute
L'ascolto per capire il benessere.

La capacità di ascoltare unisce le persone, le aiuta a prendere confidenza con il proprio corpo e con il proprio ambiente, rende concreto il dialogo con gli altri individui.
È questa una considerazione essenziale per scoprire e comprendere le dimensioni complesse e molteplici del benessere e della salute umana. Numerosi interventi presentati nel recente meeting nazionale di Genova “Trent'anni di Carta di Ottawa”, organizzato dalla SIPS, hanno dimostrato scientificamente quanto lo stato emotivo degli individui, insieme alla condizione fisica e ambientale, incida efficacemente sul benessere soggettivo e sull'organizzazione sociale, auspicando, nella maggior parte delle relazioni, che il livello emotivo sia ritenuto un'ordinaria componente  anche dell'assistenza sanitaria.
L'individuo da solo non può provvedere alla propria salute e al proprio benessere. Per star bene non basta essere allegri o alimentare in solitudine pensieri positivi e gratificanti, occorre vivere insieme agli altri, puntando ad una comunicazione in grado di coinvolgere emotivamente e promuovere la comprensione reciproca fra le persone.
L'ascolto permette di riflettere sulle conoscenze e le esperienze di vita. È espressione dell'essere della persona, dell'identità, di quell'appartenenza in cui la persona può raccontarsi, incontrare  l'alterità, crescere nel proprio potere. Capire gli altri è la medicina migliore del mondo anche nella medicina.


Bibliografia
Habermas J., Lavoro e interazione, Milano, Feltrinelli, 1975;
Bruner J., La ricerca del significato, Torino, Bollati Boringhieri, 1992;
Goleman D., Intelligenza emotiva, Bergamo, Rizzoli, 1998;
Ascenzi A., Lo spirito dell'educazione. Saggio sulla pedagogia di Romano Guardini, Milano, Vita e Pensiero, 2003;
Polvani S., Sarti A., Medicina narrativa in terapia intensiva. Storie di malattia e di cura, Milano, Franco Angeli, 2013;
Di Novo S., Prigionieri delle neuroscienze?, Firenze. Giunti, 2014.


di Antonio De Angeli. Socio fondatore SIPS

 
Parliamo di resilienza

Stress, burnout e resilienza nei medici

Lo scorso giugno in una review di letteratura è stato fatto il punto sul burnout nei medici (Kumar, 2016).
I medici in virtù del loro lavoro sono esposti ad una grande quantità di emozioni che vanno dal bisogno di salvare i pazienti, al senso di fallimento e di frustrazione che si verifica quando la malattia progredisce, al senso di impotenza nei confronti delle malattie e delle perdite associate, al dolore e alla paura di ammalarsi loro stessi e di morire. Talvolta il medico deve confrontarsi anche con il proprio desiderio di sfuggire a queste sensazioni evitandole. Questi stati d’animo possono costituire un substrato di stress per il medico insito nella sua professione.
Allo stress dovuto a quanto detto, si aggiunge uno stress legato alla crescente litigiosità e inclemenza dell’ambiente sanitario. Ad aumentare lo stress contribuiscono le crescenti richieste burocratiche che caratterizzano il lavoro del medico, che tendono ad aumentare e a subire continui cambiamenti. I cambiamenti stressanti sono dovuti anche ai rapidi avanzamenti scientifici e tecnologi che impongono al medico un continuo adeguamento alla novità, tanto che spesso quanto appena introiettato come conoscenza o abilità diventa obsoleto.
Molto spesso il medico che lavora in servizi sanitari pubblici o privati deve confrontarsi con le risorse sempre più limitate rispetto alle richieste di prestazioni e alle possibilità di intervento sanitario offerte e dove ancor di più l’ambiente diventa inclemente in caso di errore. Il sensazionalismo dei media in caso di errori o di condotte non etiche dei medici, unitamente alla conflittualità che sfocia in liti giudiziarie, contribuisce ad una fonte di stress che prende il nome di medicina difensiva.
In alcuni casi i medici si trovano a dover utilizzare nel loro ambiente di lavoro competenze o abilità per le quali non hanno ricevuto nessun tipo di formazione. A questo proposito si invitano i lettori a pensare che, nonostante le crescenti richieste comunicative e relazionali, i medici nel nostro paese non sono adeguatamente formati in tal senso, così come non ricevono nessuna formazione sulle cosiddette “non technical skills”.

L’articolo analizza quindi l’impatto dello stress sui medici. Il primo impatto consiste nella compassion fatigue e che può portare i medici a dover lavorare in uno stato di “deplezione emotiva”. Il passo successivo è il burnout caratterizzato dalle tre classiche dimensione di questo costrutto: esaurimento emotivo, depersonalizzazione del lavoro e ridotta realizzazione personale.
Il risultato del burnout si manifesta da una parte con i sintomi di sofferenza psichica e fisica del lavoratore e dall’altra con conseguenze sulla qualità del lavoro. I medici in burnout tendono a fare più errori nella pratica clinica, a distaccarsi dal lavoro, dimostrano ostilità verso i pazienti e diminuiscono l’impegno verso una cura del paziente produttiva, sicura e ottimale. Compassion fatigue e burnout sono stati ritrovati in modo significativo anche tra i familiari dei medici.

Le dimensioni del problema ed una analisi dei fattori di rischio vengono sviluppate nell’articolo a cui si rimanda.

Interessante è l’analisi delle strategie di prevenzione. Fra queste è compresa la costruzione della resilienza. Questa dovrebbe essere più propriamente definita una strategia di promozione della salute, piuttosto che di prevenzione e rientrare nel concetto di positive health [n.d.r.]. In particolare vengono riportate le conclusioni di un articolo che analizza i fattori di resilienza nei medici di famiglia canadesi (Jensen, 2008) che abbiamo commentato nel numero 39 della nostra newsletter (Costruire la resilienza nei medici).
L’articolo è un buon aggiornamento sul problema anche se, ad avviso chi scrive, sarebbe stato utile spendere qualche parola in più sulle possibilità di promuovere il benessere dei medici oltre che centrare l’attenzione sulla prevenzione e sul trattamento del problema.


Kumar S. Burnout and Doctors: Prevalence, Prevention and Intervention. Healthcare 2016, 4(3), 37; doi:10.3390/healthcare4030037  
Jensen PM, Trollope-Kumar K, Waters H, Everson J. Building physician resilience. Canadian Family Physician. 2008;54(5):722-729


di Sergio Ardis. Segretario Nazionale SIPS

 


Evidenziamoli

Abstract presentati che meritano maggiore attenzione

Il paese che cambiò nome

Barbara Bisaro
USL Nord Ovest Toscana
barbara.bisaro@uslnordovest.toscana.it

La presenza di animali domestici nelle famiglie italiane è elevata e in crescita, i bambini, fin dalla tenera età, nutrono una naturale attrazione verso gli animali.
Partendo da queste osservazioni e considerando gli equivoci che possono conseguire da modi di comunicare diametralmente opposti è nata la necessità di dare ai bambini strumenti per una sana convivenza con gli animali, migliorando la qualità dell’interazione e promuovendo la cultura del possesso responsabile. Con questo lavoro si è voluto fornire i bambini di mezzi utili ad evitare pericolosi incidenti con conseguenze di tipo sanitario, e contemporaneamente, educare alla conoscenza della diversità e al rispetto dell’altro, favorendo l’integrazione, la responsabilizzazione e la valorizzazione del diverso.
La favola è nata, grazie ai validi suggerimenti di una insegnante, come strumento didattico per i bambini di 5 anni della scuola dell’infanzia, successivamente è stata testata, con successo, nei bambini della terza classe della scuola primaria. Infatti, questi ultimi, pur essendo già maturi e attenti, conservano una buona attitudine al gioco e all’uso della fantasia.
La favola è stata una necessità, la necessità di implementare la scarsa disponibilità di materiale didattico. Doveva essere la narrazione di una situazione negativa che, grazie all’intervento di un non ben precisato deus ex machina, si trasformava in situazione positiva insegnando ai bambini il giusto modo di rapportarsi con gli animali. Doveva essere altresì uno strumento per coinvolgere i bambini in giochi di ruolo e drammatizzazioni.
Chiamando a raccolta la mia trentennale esperienza di medico veterinario e risvegliando il fanciullino che c’è in tutti noi ho lasciato andare la penna e la fantasia ed è nata la storia di Chivalà, Baffoblù e compagni.
All’inizio è stato un cartellone scritto a mano, illustrato con disegni artigianali.
Visto il gradimento e i risultati conseguiti in campo, alcune insegnanti mi hanno incoraggiata a farne una pubblicazione, cosicché fosse fruibile da molti.
Il felice incontro con l’illustratore Massimo Panicucci di Piombino, che, entrato subito nell’argomento, si è reso disponibile a trasformare i miei personaggi in immagini adatte al pubblico cui erano rivolte, ha fatto sì che la favola diventasse un libro. La collaborazione dell’insegnante Meri Perinti, della scuola dell’infanzia Boldrini di Venturina Terme, mi ha permesso di completarlo con schede didattiche. Ho intitolato il libro “Il paese che cambiò nome” perché, pur non essendo evocativo del contenuto zooantropologico, il titolo vuole rappresentare che il cambiamento (in positivo) è sempre possibile. Purtroppo non ho trovato uno sponsor che finanziasse il mio progetto e, ormai molto motivata, ho deciso di auto finanziarmi, scegliendo una casa editrice locale: La Bancarella Editore.
Il lavoro è stato utilizzato con soddisfazione nell’ambito del progetto USL “Sana convivenza uomo animale” nelle Scuole dell’infanzia e nelle Scuole Primarie della Val di Cornia che hanno aderito. Il libro è stato apprezzato dal gruppo di studi di Metodologia Didattica Veterinaria (ANMVI) e prossimamente sarà visibile nel sito della SIUA (Società Italiana Uomo Animale).
Colgo l’occasione, con questo abstract, per ringraziare tutti, uomini e animali, che volontariamente o involontariamente mi hanno aiutato a conseguire questo risultato.
 
Il testo è contenuto negli abstract del Meeting Nazionale SIPS "Trent'anni di Carta di Ottawa" tenutosi a Genova il 17 e 18 novembre 2016
Corso per promotori della salute – livello 1
Formazione a Distanza

Con la prima Conferenza Internazionale della Promozione della Salute che si è tenuta ad Ottawa nel 1986, la promozione della salute viene definita e distinta dalle altre discipline che riguardano la salute. Purtroppo ancora oggi la definizione di promozione della salute continua ad essere sconosciuta ai più che, ancorché operanti per la salute, confondono la promozione con la prevenzione e talvolta parlano di promozione della salute in modo e contesti completamenti avulsi al suo significato.
Il corso di formazione proposto dalla Società Italiana per la Promozione della Salute mira a colmare questa lacuna. La promozione della salute nella sua essenza è interdisciplinare. Per questo il corso non è solo rivolto ai sanitari, ma è destinato a chiunque si occupi di salute a partire dai tanti insegnanti che ogni giorno lavorano per rendere i loro percorsi educativi traiettorie di benessere.
Si tratta di una formazione di base che parte dai concetti fondamentali della promozione della salute. A questo corso di base seguiranno altri corsi che nasceranno dall’unica società scientifica italiana interdisciplinare che ha come obiettivo lo studio, la ricerca e la diffusione dei temi della promozione della salute.
L’obiettivo finale è quello di costruire un profilo del promotore della salute che qualsiasi sia la sua professione o il suo ambito operativo condivida i concetti di base e strumenti operativi propri della promozione della salute

ECM 7,5 per tutte le professioni

Iscrizione gratuita.
Per l’iscrizione richiedere il codice gratuito a fad@sipsalute.it
Corso per insegnati  promotori della salute – livello 1
Formazione a Distanza

Abbiamo realizzato un corso specifico per insegnanti promotori della salute (livello 1). Si tratta del primo corso di formazione a distanza per insegnanti e altro personale non sanitario.
Il corso è gratuito per tutti, oltre che a proporlo per i soci insegnanti (o comunque non sanitari) consigliamo di pubblicizzarlo il più possibile fra gli insegnanti che lavorano a progetti di promozione della salute o che comunque vogliono costruire il loro curriculum di promotore della salute e del benessere.
 
Descrizione
Con la prima Conferenza Internazionale della Promozione della Salute che si è tenuta ad Ottawa nel 1986, la promozione della salute viene definita e distinta dalle altre discipline che riguardano la salute. Purtroppo ancora oggi la definizione di promozione della salute continua ad essere sconosciuta ai più che, ancorché operanti per la salute, confondono la promozione con la prevenzione e talvolta parlano di promozione della salute in modo e contesti completamenti avulsi al suo significato.
Il corso di formazione proposto dalla Società Italiana per la Promozione della Salute mira a colmare questa lacuna. La promozione della salute è nella sua essenza interdisciplinare. Per questo il corso non è solo rivolto ai sanitari, ma è destinato a chiunque si occupi di salute a partire dai tanti insegnanti che ogni giorno lavorano per rendere i loro percorsi educativi traiettorie di benessere.
Si tratta di una formazione di base che parte dai concetti fondamentali della promozione della salute. A questo corso di base seguiranno altri corsi che nasceranno dall’unica società scientifica italiana interdisciplinare che ha come obiettivo lo studio, la ricerca e la diffusione dei temi della promozione della salute.
L’obiettivo finale è quello di costruire un profilo di promotore della salute che qualsiasi sia la sua professione o il suo ambito operativo condivida i concetti di base e strumenti operativi propri della promozione della salute.
 
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